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Quando Maurizio Landini e il Governo Monti volevano vendere l’Alfa Romeo a Volkswagen………

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Sembra un secolo……. Ma, tra il rilancio dell’Alfa Romeo ai saloni dell’auto di Detroit e Ginevra e il tentativo di svendere il prestigioso marchio italiano per un piatto di lenticchie, sono passati solo due anni e mezzo.

Lo aveva ammesso pubblicamente l’anno scorso l’ex-ministro alla coesione territoriale, Fabrizio Barca in una intervista pubblicata su Sbilanciamoci.info (1):

“Su Fiat c’è stato un momento durante il governo Monti nel quale ci sarebbero state le condizioni per una posizione più dura dell’Italia, soprattutto intorno a quello che a Fiat interessava davvero, e cioè il marchio Alfa. L’alternativa sarebbe stata quella di aprire a Volkswagen: sarebbe stato un modo per combinare una gestione politica forte da parte del governo nazionale con la carta dell’estero.

C’è stato un momento in cui era abbastanza evidente a molti di noi all’interno del governo che gli interessi della proprietà e del management Fiat non erano allineati: si potevano creare le condizioni per cui alla proprietà della Fiat e all’Italia potesse convenire vendere. Si sarebbe potuto lavorare attorno a un allineamento degli interessi della proprietà e dell’Italia che differivano da quelli del management.

Ci sono state due settimane di discussione culminate in un incontro formale del governo con i vertici Fiat, nella quale si è intravista una strada alternativa che poi si è persa. In quel caso, la proprietà estera poteva costituire un’opportunità per l’Italia, ovviamente un’opportunità da governare perché sarebbe stato necessario avere delle garanzie: del resto, come ci ricorda Marcello De Cecco, per un paese che produce meccanica, l’auto resta un settore fondamentale”.

L’ex-ministro dice esplicitamente nell’intervista che la posizione del management (Sergio Marchionne) non era allineata a quella della proprietà (la famiglia Agnelli). Per cui “si sarebbe potuto lavorare attorno a un allineamento degli interessi della proprietà e dell’Italia che differivano da quelli del management”.

Fabrizio Barca non e’ altrettanto esplicito su chi ci fosse dietro a quell’Italia a cui “potesse convenire vendere”. Ma non e’ faticoso ricostruirlo. Basta sfogliare i giornali dell’epoca. Basta ricordare gli interessi mediatici, politici e imprenditoriali che giocavano in quegli anni al tiro al bersaglio contro Sergio Marchionne e l’integrazione di Fiat con Chrysler. E contro gli accordi sindacali che, nel mezzo della più grande crisi economica e di mercato in Europa dopo il ’29, hanno assicurato la continuità del nostro paese nel settore auto.

Non sorprende, infatti, trovare tra gli interessi “tricolori” disallineati con quelli del management di Fiat-Chrysler quelli del leader della Fiom-Cgil Maurizio Landini che, in un’intervista pubblicata il 24 settembre 2012, dichiara: “[…] se Fiat non è in grado, si apra a nuovi produttori”. E all’intervistatore che gli chiede “a chi?” risponde: “Ad esempio alla Volkswagen che ha mostrato un interessamento per l’Alfa Romeo. Il compito però, anche qui, è del governo. Monti decida se gli interessa continuare a produrre automobili”.

L’intervista di Maurizio Landini arriva puntuale dopo l’incontro di Sergio Marchionne e John Elkann a Palazzo Chigi. Era il 22 settembre 2012. Lo racconta Marco Cobianchi nel suo libro American Dream, Chiarelettere, 2014:

“[…] Ad aspettarli il presidente del Consiglio Mario Monti, il ministro dell’Industria Corrado Passera e quello del Lavoro Elsa Fornero… Il punto è sempre quello: il Governo è convinto che vendere l’Alfa Romeo alla Volkswagen sia vantaggioso per l’Italia. Marchionne non ne vuole sentire nemmeno parlare. Per Monti cedere lo storico marchio e una fabbrica a Ferdinand Piech – presidente del conisiglio di sorveglianza della Volkswagen – salverebbe dal declino una delle più belle storie industriali italiane e potrebbe contribuire a cambiare la percezione che del nostro paese hanno le grandi corporation: se una di loro fosse disposta a pagare per venire a produrre in Italia, questo potrebbe convincere anche altre a farlo. Sarebbe uno spot formidabile […]”.

Forse non e’ il caso di commentare la vision del Governo Monti. Ma che il riscatto del nostro paese agli occhi del mondo, potesse (e possa) avvenire con operazioni di svendita del proprio patrimonio industriale, mi sembra alquanto demente. Ma tante’…… su questo punto, c’e’ una continuità preoccupante tra i Governi italiani degli ultimi 20 anni. C’e’ semmai da chiedersi perché a invocare l’arrivo di capitale tedesco tifando per l’azienda di Wolfsburg nella sua corsa per conquistare il marchio Alfa Romeo ci sia un sindacato. La Fiom-Cgil o quantomeno i suoi dirigenti di primo piano. Intendiamoci! In generale l’arrivo in Italia di produttori stranieri nel settore automotive non può ritenersi negativo. L’acquisizione di Ducati e Lamborghini da parte di Volkswagen e’ li a dimostrarlo…..Ma nel caso in questione, la vendita del marchio Alfa Romeo senza accompagnarla con la dote di stabilimenti e lavoratori (che il gruppo tedesco non si sarebbe mai presi), equivaleva alla chiusura di Cassino e Mirafiori. E, pazienza, il dott. Monti e i suoi ministri poco avvezzi alle conseguenze sociali delle loro scelte. Ma il leader del più grande sindacato dei metalmeccanici, impegnato in quei giorni in una campagna mediatica sulla democrazia in fabbrica, almeno ai suoi iscritti avrebbe dovuto raccontarlo!

Erano gli stessi giorni in cui Gabriele Polo, giornalista ed ex-direttore del Manifesto sosteneva in una sua inchiesta su Torino che “Marchionne svuota le fabbriche italiane per preparare lo sbarco di Chrysler a Wall Street, incassare e andarsene”. Tesi che ha rappresentato (e rappresenta tuttora) la narrazione mediatica di Maurizio Landini sui destini del settore auto in Italia. Una narrazione fantasy che continua a trovare gli amanti del genere (in verità sempre meno) nei talk show televisivi…..

La realtà si e’ ostinata, malgrado la Fiom, ad andare in direzione contraria a questa narrazione. All’inizio Pomigliano e Grugliasco (con la Maserati di Modena), poi Atessa e Melfi (ma anche Termoli, Pratola Serra e VM a Ferrara nei motori). Adesso anche Cassino e persino a Mirafiori. FCA, per la revisione e il rilancio del marchio Alfa Romeo, sta investendo 5 miliardi di euro. E le nuove vetture Alfa Romeo (riprogettate con l’ausilio di ingegneri della Ferrari) saranno fondamentali, non solo per riposizionare il Gruppo su un marchio di lusso in grado di sfidare BMW e Audi, ma per il futuro industriale e occupazionale dei siti italiani destinati, altrimenti, alla chiusura.

L’imbarazzo di coloro che, come Maurizio Landini, hanno teorizzato la “fuga di Fiat dall’Italia” e’ comprensibile. Come ha scritto nel suo blog Daniele Protti, giornalista e docente all’università di Urbino:

“[…] La smentita viene dai fatti. Un giapponese avrebbe usato una sola parola: shimata (mi sono sbagliato). Da Landini neppure quella. D’altronde non è sorprendente per chi sta lavorando per candidarsi a segretario generale della Cgil, succedendo all’ormai spenta Camusso. Ma un po’ di buon senso della bassa emiliana non avrebbe guastato a colui che l’altro ieri aveva profetizzato, per mesi, la scomparsa dell’industria automobilistica in Italia”.

XVIII_Congresso_FIM_nazionale_23-05-13 (953)

Gianni Alioti and Bob King in Lecce 23 May 2013, during the International Conference on “New challenges and the future of Global Unionism” (XVIII FIM-CISL National Congress).

(1) Fabrizio Barca- «Così si può ripartire»