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Turchia: migliaia di metalmeccanici bloccano la produzione nelle maggiori fabbriche di auto

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Lo sciopero, propagatosi dalle fabbriche di assemblaggio a quelle di componentistica auto, si configura come uno dei più grandi conflitti sindacali in Turchia negli ultimi anni. Un effetto onda, il cui epicentro e’ la città di Bursa. La Detroit turca. Il principale centro di produzione auto del paese. E’ qui nella fabbrica Renault (una joint venture con il fondo pensione dell’esercito turco Oyak), che oltre la meta’ dei 5mila operai occupati – decidono per primi – di incrociare le braccia. E’ il 14 maggio.

Il giorno dopo e’ la volta di alcune centinaia di lavoratori della Tofas (in totale 4,5mila occupati). Una joint venture tra l’italiana Fiat (ora FCA) e la holding Turkey’s Koç. Tofas e Renault, rappresentano oltre il 40% della produzione annuale di auto della Turchia. Al sesto giorno di sciopero si fanno i conti del calo di auto prodotte. 5.220 unità alla Renault e 3.248 alla Tofas.

All’inizio di questa settimana si uniscono allo sciopero di Renault e Tofas (FCA) anche migliaia di operai delle fabbriche di componentistica auto di Bursa: Beltan Trelleborg Vibracoustic, Skf, Ototrim Automotive, Rollmech, Coşkunöz, Mako, Valeo, Ficosa, Yazaki, Leoni, Djc e Delphi (compresa la sede in UK per solidarietà). E da mercoledì 20 maggio si fermano le due fabbriche – nella regione vicina di Kocaeli – gestite dalla Ford Otosan (in totale 7.500 occupati). Un’altra joint venture della holding Turkey’s Koç, in questo caso con l’americana Ford.

A bloccare la produzione alla Ford Otosan, secondo l’azienda, e’ il mancato arrivo di componenti provenienti dalla catena di sub-fornitura. Ma c’e’ chi sostiene che la fermata temporanea degli impianti sia, in realtà, una mossa preventiva dell’impresa per ostacolare l’entrata in sciopero dei propri dipendenti. In un sit-in 500 operai della Ford hanno espresso ai colleghi di Renault e Tofas la propria solidarietà, condividendo le stesse rivendicazioni.

Dalla mezzanotte di mercoledì 20 maggio entra in sciopero anche lo storico produttore di trattori TürkTraktör. L’azienda, una joint venture tra CNHi e la holding Turkey’s Koç, ha sede a Adapazarı, nel nord-ovest della Turchia. L’ondata di scioperi – attraverso questo effetto domino – sembra non doversi fermare. E ad oggi coinvolge oltre 15mila lavoratori.

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Le rivendicazioni dei lavoratori si concentrano sul principio “uguale salario per uguale lavoro”, su forti aumenti salariali e sul riconoscimento della rappresentanza diretta di comitati di fabbrica dei lavoratori al posto del sindacato Türk Metal. La scintilla che ha fatto deflagrare lo sciopero alla Renault, per poi allargarsi in altre aziende, e’ stata infatti la richiesta di aumenti salariali in linea con quelli accordati da Türk Metal – a livello aziendale – con la direzione della Bosch. Ai lavoratori Bosch, senza contratto collettivo da 38 mesi, sono stati riconosciuti pagamenti retroattivi e aumenti del 60 per cento in più (€ 107,00) di quanto ottenuto nel contratto nazionale dell’industria metalmeccanica firmato dall’Associazione dei datori di lavoro turchi del settore (Mess) e i sindacati Türk Metal e Celik-Is. Il contratto firmato a settembre 2014 scade solo ad agosto 2017. E le parti contraenti sostengono che non si possono apportare modifiche.

Il presidente di Türk Metal, Pevrul Kavlak ha dichiarato a Reuters che l’accordo con Bosch prevede, in effetti, aumenti di molto superiori. Ma il salario orario dei lavoratori Bosch sono ancora inferiori rispetto ai salari in Renault: € 3,28 in Bosch, contro € 3,41 in Renault. E solo un numero limitato di lavoratori Bosch guadagna effettivamente di più dei lavoratori di altre aziende del settore.

Per queste ragioni Pevrul Kavlak ha invitato i lavoratori a porre fine allo sciopero, aggiungendo che in base alla legge turca i datori di lavoro possono licenziare i lavoratori senza alcun compenso. La Confederazione dei sindacati turchi (Türk-IS), a cui Türk Metal è affiliata, per questo atteggiamento e’ presa di mira da parte dei lavoratori in sciopero. Alcuni quotidiani turchi, a questo proposito, informano che, in segno di protesta, tra i 7 e i 10mila lavoratori avrebbero già dato le dimissioni da questo sindacato.

Il segretario generale di Birleşik Metal-İş, affiliato alla Confederazione dei sindacati progressisti della Turchia (DISK) e a IndustriAll Europe, Selçuk Goktas ha criticato le parole di Kavlak, come prova della subalternità di Türk Metal con i datori di lavoro. Goktas ha aggiunto che il Ministero del Lavoro dovrebbe convocare i comitati di lavoratori in sciopero insieme ai datori di lavoro, per risolvere il conflitto.

Al contrario l’Associazione dei datori di lavoro turchi delle industrie metalmeccaniche (Mess) considera gli scioperi in atto delle azioni “illegali e insopportabili”. Avrebbero un’influenza negativa sull’immagine del settore automobilistico turco (dal 22 al 31 maggio e’ in programma il salone internazionale dell’Auto di Istanbul) e sulla sua capacita’ competitiva. La prosecuzione degli scioperi porterà a cancellazioni di ordini e perdite di quote di mercato.

Di diverso tenore le dichiarazioni della Automotive Parts Industry Association (Taysad) della Turchia. Da un lato il rammarico per il coinvolgimento negli scioperi di aziende di componentistica auto, nonostante il settore sia uno dei più avanzati in Turchia, in termini di miglioramento delle condizioni di lavoro dei suoi operai. Dall’altro l’auspicio che la “riconciliazione” tra le parti sociali del settore sia raggiunto molto presto.

Gli scioperi hanno fatto scattare campanelli d’allarme a livello governativo. Il vice primo ministro turco dell’economia, Zar Ali Babacan, ora chiede una soluzione urgente. Il settore automotive è indispensabile per l’economia turca. Nel 2014 da solo ha generato un volume di vendite di 22,3 miliardi di dollari ed è leader nelle esportazioni. Il blocco della produzione in Turchia influisce negativamente sulle catene di fornitura europee.

Il boom economico registrato in Turchia negli ultimi anni lo si deve in gran parte all’industria dell’auto. Nel 2014 si sono prodotti un milione e 170mila di auto e veicoli commerciali. Il 237 per cento in più rispetto al 2002. L’anno in cui l’attuale presidente Erdogan e’ salito al potere. Anni di rapida crescita non sono state accompagnate, pero’, da un significativo miglioramento delle condizioni di lavoro.

Il salario minimo corrisponde a € 424,00 euro al mese. Un operaio dell’industria dell’auto guadagna mediamente al mese circa € 600,00. Non solo. Dovuto ai bassi salari circa il 40% dei dipendenti turchi lavorano 50 o più ore a settimana. Nel settore privato durante il periodo 2005-2013 i salari dei lavoratori sono aumentati in media dello 0,4 per cento annuo sopra l’inflazione. Ma il reddito nazionale, nello stesso periodo, è aumentato del 4,3 per cento annuo. Significa che ai lavoratori, di questa crescita della torta, sono andate solo le briciole. Lo conferma il crollo, nel periodo 1999-2013, della quota di reddito da lavoro sul PIL dal 52 al 33 per cento.

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Gianni Alioti

Ufficio Internazionale Fim-Cisl