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IL PAPA SULLA TOMBA DI DON MILANI E DON MAZZOLARI

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IL PAPA SULLA TOMBA DI DON MILANI e DON MAZZOLARI

di Marco BentivogliL’Unità 25 aprile 2017

A Bozzolo e a Barbiana, in forma riservata, nello stile di Don Lorenzo e Don Primo, a dare la giusta collocazione a due tra le figure più belle del ‘900 e al contempo, troppo impegnative per tutti i poteri. La scelta di Papa Francesco di andare nell’anniversario del 20 giugno a pregare sulla loro tomba è qualcosa di grande. Non possiamo dire che ce lo aspettavamo, no, perché sono stati due preti scomodi e dare lo spazio che meritano a due figure così importanti del ‘900 è un’operazione che solo chi ha tanta forza riesce a fare.

Di Don Lorenzo, Francesco ricorda l’amore e di tenerezza per i suoi ragazzi, per quello che era il suo gregge, per il quale soffriva e combatteva, per donargli la dignità che talvolta veniva negata. Tutti abbiamo letto le tante opere di questo sacerdote toscano, morto ad appena 44 anni, e ricordiamo con particolare affetto la sua ‘Lettera ad una professoressa’, scritta insieme ai suoi ragazzi della scuola di Barbiana. Sullo stesso libro Pier Paolo Pasolini disse che un metodo per valutare la bellezza di un libro è l’aumento della vitalità che dà. “Leggendo questo libro la vitalità aumenta vertiginosamente. C’è un grande spirito e una grande precisione e verità del problema che è la scuola italiana, ma nella realtà riguarda la società e la qualità della vita italiana”.

La chiesa dei poveri era carica di forza generativa, nella capacità di riscatto e di liberazione che conteneva: entrambi hanno scelto le persone, non secondo le categorie sociologiche, ma attraverso il mistero di Dio, che li ha chiamati beati, riservando loro il suo Regno; perciò Mazzolari e Milani hanno lasciato che fossero loro a parlare, a manifestarsi, perché nessuno potesse avere una scusa per non impegnarsi. Mazzolari diceva: “il cristiano non dovrebbe contare i poveri, ma abbracciarli”. Questo il grande punto di contatto tra i due sacerdoti.

“Cari ragazzi, ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo conto”, scrisse Don Lorenzo. Ecco la grande differenza che li distingue da chi ama le idee più delle persone. Loro avevano capito che amarle significare andare verso le persone, sporcarsi le mani per come erano, non per come sarebbero dovuti essere.

C’è una parte di Chiesa e di società che ancora oggi verifica nel pontificato di Francesco l’attinenza alla dottrina, senza averne ancora compreso il senso profondo.

Entrambi hanno avuto vita difficile con la gerarchia, incapace di capire, troppo sovrastrutturale rispetto all’autenticità della parola.  A 50 anni dalla morte di Don Milani, rimane ancora oggi grande la fatica a riabilitare le “esperienze pastorali”, troppo impegnative per una gerarchia così lontana dal mondo che Don Lorenzo vedeva. Con la recensione contro l’autore di ‘Lettera a una professoressa” e la chiesa fiorentina iniziò una vera e propria persecuzione che lo accompagnò fino alla morte. Un prete perseguitato da una Chiesa che ha sempre amato e non ha mai voluto lasciare. Anche la scelta di mandarlo da Calenzano a Barbiana era dettata dalla volontà di metterlo a tacere, di sfiancarlo.

Straordinario, da parte di Papa Francesco, l’aver ricollocato il sacerdozio di Don Milani nella giusta dimensione di religioso, da chi a sproposito ne rimarca l’eresia, quasi a sancirne l’estemporaneità. Un prete incandescente, ma lontano anni luce dallo stereotipo del prete ribelle.

Si restituisce giustizia in modo compiuto ad un sacerdote che non ha mai trovato lo spazio e l’apprezzamento che meritava. La Chiesa cattolica dice in modo definitivo che quella di Don Milani è una testimonianza cristiana.  Papa Francesco ha detto di lui che “la sua era un’inquietudine spirituale  alimentata dall’amore per Cristo, per il Vangelo, per la Chiesa, per la società e per la scuola che sognava sempre più come un ospedale da campo per soccorrere i feriti, per recuperare gli emarginati“. “Amo la scuola perché è sinonimo di apertura alla realtà”, diceva. “Voi dovete impadronirvi delle parole, del senso delle parole, perché attraverso il controllo delle parole, i prepotenti vi dominano”. E’ un messaggio rivoluzionario perché oggi “impadronirsi delle parole” significa impadronirsi dei giornali, delle reti televisive, delle notizie, vale a dire impadronirsi degli strumenti per dominare il mondo.  Distribuire “la parola ai poveri” è come distribuire la “santa comunione”.

Don Lorenzo voleva che anche i suoi cari vedessero “come muore un prete cristiano”, con le ferite delle incomprensioni e della sua persecuzione e che ha vissuto per i ragazzi perché crescessero con la mente aperta e il cuore accogliente. Su quella tomba semplice e austera pregherà Papa Francesco, nel silenzio, forte come i gesti e le parole di Don Lorenzo.

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