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Un Piano industriale per l’Italia delle competenze

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Un Piano industriale per l’Italia delle competenze

di Carlo Calenda e Marco Bentivogli

Il Sole 24 Ore, 12 gennaio 2018

La fine degli stimoli della Bce, l’evoluzione, certo non orientata a maggior flessibilità, dell’Eurozona e la restrizione dei parametri di valutazione sugli Npl, renderanno il 2018 un anno potenzialmente critico per la tenuta finanziaria del Paese. L’unica strada percorribile è quella di continuare a muoversi lungo il “sentiero stretto” percorso in questa legislatura ovvero riduzione del deficit, aumento di Pil e inflazione. Per il 2019 il Documento di economia e finanza prevede un rapporto deficit/Pil allo 0,9%…continua a leggere su Sole24Ore

Eventuali margini di flessibilità si potranno negoziare solo a fronte di un convincente “Piano industriale per il Paese” focalizzato su crescita e investimenti. A tutto ciò si aggiunge la sfida di una rapidissima innovazione tecnologica che mette in discussione modelli produttivi e organizzazione del lavoro. Se l’Italia non saprà essere all’altezza andremo incontro a un secondo shock sistemico come quello vissuto nella prima fase della globalizzazione. Riteniamo che l’avvio della campagna elettorale mostri una diffusa mancanza di consapevolezza rispetto a questa situazione. La parola d’ordine sembra essere “abolire”, scaricando i costi sulla “fiscalità generale” e alimentando l’equivoco che essa sia altro rispetto ai soldi dei cittadini. Questo equivoco è alla base di decenni di irresponsabilità finanziaria che hanno portato l’Italia vicino al default nel 2011. Noi pensiamo invece che la parola d’ordine debba essere “costruire” un futuro fondato su tre pilastri: Competenze, Impresa, Lavoro.

1 | Competenze e Impresa: 
la situazione del Paese

Competenze

La rivoluzione digitale crea e distrugge occupazione e non è possibile prevedere con certezza quale sarà il saldo netto. Le dieci professioni oggi più richieste dal mercato non esistevano fino a 10 anni fa e il 65% dei bambini che ha iniziato le scuole elementari nel 2016 affronterà un lavoro di cui oggi non conosciamo le caratteristiche. Nella grande riallocazione internazionale del lavoro, l’occupazione crescerà nei Paesi che hanno investito sulle competenze digitali e si ridurrà in quelli che non le hanno acquisite in maniera adeguata ad affrontare la trasformazione del tessuto produttivo. In Italia ci sono profondi gap da colmare: solo il 29% della forza lavoro possiede elevate competenze digitali, contro una media Ue del 37%. Un divario che rischia di aumentare ulteriormente considerando la bassa partecipazione di lavoratori a corsi di formazione (8,3%) rispetto alla media Ue di 10,8% e a benchmark quali Francia 18,8% e Svezia 29,6%.

Il lavoro nell’impresa 4.0 dovrà superare il paradosso italiano per cui i giovani finiscono troppo presto di studiare, iniziano troppo tardi a lavorare e quando trovano un lavoro, interrompono completamente i loro rapporti con la formazione. A questo fine, proponiamo il riconoscimento del diritto soggettivo del lavoratore alla formazione in tutti i rapporti di lavoro e la sua definizione come specifico contenuto contrattuale.

Impresa

Dopo gli anni della grande crisi 2007-2014, gli investimenti industriali e l’export sono finalmente ripartiti. Nel 2017 la crescita dell’export si è attestata intorno al 7%, quella degli investimenti industriali, incentivati dal Piano Impresa 4.0, intorno all’11%. Una dinamica migliore di quanto registrato in Germania rispetto alla quale, però, i nostri investimenti industriali sono circa la metà in termini assoluti e il rapporto tra esportazioni e Pil resta inferiore di circa 20 punti. Un divario che dipende da alcune fragilità peculiari del nostro tessuto produttivo: 1) il numero limitato delle imprese pienamente integrate nelle catene globali del valore (20% circa del totale); 2) le differenze di performance territoriali e tra classi d’impresa; 3) condizioni di contesto – costo dell’energia, concorrenza, connettività – ancora spesso meno favorevoli rispetto ai competitor internazionali; 4) un mercato del lavoro ancora troppo centralizzato con modalità di determinazione delle condizioni salariali lontane dal contesto competitivo delle singole imprese.

Quello che proponiamo è una politica industriale e del lavoro non retorica, fortemente focalizzata su queste fragilità e in grado di produrre avanzamenti misurabili su ciascuno di questi temi. La base di partenza non può che essere quella delle politiche realizzate dagli ultimi due governi che hanno contribuito a determinare una dinamica positiva di occupazione, reddito, esportazioni e di saldi di finanza pubblica. Oggi, al termine della legislatura, questi risultati non appartengono più a questo o a quel governo, ma sono piuttosto un patrimonio comune di regole, leggi, provvedimenti che delineano un sentiero virtuoso di crescita e di nuove opportunità per gli investimenti.

2 | Priorità e azioni

Impresa 4.0

Il Piano nazionale Impresa 4.0 ha riportato la politica industriale al centro dell’agenda del Paese dopo vent’anni con una dotazione di risorse adeguate: circa 20 miliardi di euro nella legge di bilancio 2017 cui si aggiungono 10 miliardi di euro dell’ultima legge di bilancio. L’efficacia del piano è testimoniata dalla ripresa degli investimenti delle imprese – che durante gli anni della crisi hanno subito una riduzione di circa il 25% – e dalla crescita degli ordinativi interni nel corso del 2017.

Pur confermando l’impostazione generale del Piano, per gli anni a venire occorrerà procedere lungo due direzioni. Da un lato occorrerà rifinanziare per il 2019 il Fondo Centrale di Garanzia per 2 miliardi di euro, in modo da garantire circa 50 miliardi di crediti finalizzati agli investimenti delle Pmi. Dall’altro occorrerà sostenere l’investimento privato per l’acquisizione e lo sviluppo di competenze 4.0. In concreto: dovranno essere stanziati 400 milioni di euro aggiuntivi all’anno da destinare agli Istituti Tecnici Superiori con l’obiettivo di raggiungere almeno 100mila studenti iscritti entro il 2020 (in Italia attualmente gli studenti degli Its sono circa 9000 contro i quasi 800mila della Germania); i Competence Center dovranno essere rafforzati al fine di costruire una vera rete nazionale, per lo sviluppo e il trasferimento di competenze digitali e ad alta specializzazione (sul modello del tedesco Fraunhofer e dell’inglese Catapult); dovrà essere reso strutturale lo strumento del credito di imposta alla formazione 4.0, previsto attualmente in forma sperimentale.

Lavoro 4.0

L’impresa 4.0 ha bisogno, oltre alle tecnologie e alle competenze, di nuovi modelli di organizzazione del lavoro, che vanno quindi incentivati come ulteriore tassello del Piano.

Dal punto di vista contrattuale occorre rispondere ad una produzione che sarà sempre più “sartoriale” e quindi il Contratto nazionale ha senso non solo se ne riduce drasticamente il numero delle tipologie – che negli ultimi anni è esploso – ma anche e soprattutto se il suo ruolo resta quello di “cornice di garanzia” finalizzata ad assicurare il più possibile una dimensione di prossimità all’impresa. Va incoraggiato un vero decentramento contrattuale, utile anche ai programmi condivisi di miglioramento della produttività, a livello territoriale, di sito e di rete. Questo processo, unitamente ai nuovi contenuti della contrattazione (welfare, formazione, orari, flessibilità attive) possono rappresentare il nuovo “patto per la fabbrica” in grado di centrare la sfida della produttività e dell’innovazione a partire dalle Pmi per le quali la contrattazione territoriale può diventare una risorsa fondamentale. Permane in alcuni settori il rischio che i nuovi modelli organizzativi comportino una riduzione del valore del lavoro che va contrastato con la capacità di costruire nuove tutele e diritti sociali ma, soprattutto, con un salario minimo legale, per i settori non coperti da contrattazione collettiva.

Energia

La Strategia Energetica Nazionale definisce la strada per affrontare le grandi questioni della riduzione del gap di prezzo e di costo dell’energia; della sostenibilità degli obiettivi ambientali; della sicurezza di approvvigionamento e della flessibilità delle infrastrutture energetiche, rafforzando l’indipendenza energetica dell’Italia.

Al 2030, la Sen prevede azioni per 175 miliardi di investimenti, di cui oltre l’80% in energie rinnovabili ed efficienza, che devono dar vita a una nuova specializzazione industriale dell’Italia. Sul versante della competitività, il varo della normativa sulle imprese energivore a partire dal 1° gennaio di quest’anno ha risolto il problema dello svantaggio sul prezzo dell’energia elettrica per circa 3mila aziende. Analoga norma andrà adesso rapidamente attuata per le aziende gasivore, insieme al corridoio di liquidità per allineare il costo del gas a quello del Nord Europa.

L’abbandono del carbone nel 2025 nella produzione elettrica necessita, oltre che degli investimenti in reti e rinnovabili, anche di un deciso coordinamento operativo e di un focus forte sul rafforzamento e sulla diversificazione delle aree di approvvigionamento del gas.

Concorrenza

Negli ultimi anni l’Italia ha fatto passi avanti, ma molto ancora resta da fare. La faticosa esperienza della prima legge “annuale” per la concorrenza il cui iter parlamentare è durato quasi tre anni mostra chiaramente quanto la concorrenza sia ancora guardata con sospetto.

 

Occorre, da un lato fare della manutenzione pro-concorrenziale dell’ordinamento un’operazione sistematica e veramente annuale, dall’altro, focalizzare meglio gli interventi con iniziative “settoriali”. Nella prossima legislatura sono almeno due i capitoli su cui è necessario concentrarsi. Il primo è quello dei servizi pubblici locali ancora spesso poco efficienti mentre il secondo è quello delle concessioni: da quelle balneari alle autostrade. Anche qui è necessario disciplinare le modalità di affidamento competitivo evitando ulteriori proroghe e le caratteristiche della concessione (modalità di determinazione dei ricavi e durata) oltre ad assoggettarne i contenuti alla massima trasparenza, pur riconoscendo la possibilità di introdurre correttivi sociali e cautele a difesa dell’occupazione e degli operatori più piccoli.

Banda Larga

Come per le reti di trasporto di persone e merci e le reti energetiche e idriche, una rete di telecomunicazioni moderna ed efficiente rappresenta un fattore chiave di competitività per il sistema Paese ma anche un servizio essenziale.

Su questo fronte la situazione italiana attuale presenta un preoccupante ritardo rispetto alle economie con le quali ci confrontiamo. Un ritardo che abbiamo iniziato a colmare con il Piano Banda Ultra Larga del Governo, che prevede la copertura dell’85% della popolazione al 2020 con 100 Mbps. I dati dell’ultima consultazione pubblica del 2017 ci dicono che solo il 2% dei numeri civici nazionali è raggiunto da una connessione superiore a 100 Mbps, il 30% dispone di connettività oltre 30 Mbps, mentre quasi il 70% dei civici non è coperto dalla banda ultra larga.

Il carattere sistemico dell’infrastruttura Tlc, che ha bisogno di grandi investimenti di sviluppo e ammodernamento suggerisce di verificare la possibilità di concentrare lo sviluppo della rete in un unico operatore, valutando con tutte le cautele del caso un’eventuale remunerazione con tariffe regolamentate. In tal modo sarebbe possibile utilizzare al meglio le risorse disponibili pubbliche e private, evitando duplicazioni infrastrutturali e garantendo la massima concorrenza e neutralità nell’offerta di servizi retail.

Politica commerciale
e internazionalizzazione

Occorre giocare la partita dell’internazionalizzazione contemporaneamente in attacco e in difesa. In attacco, gli accordi di libero scambio sono lo strumento principale attraverso il quale favorire l’accesso delle Pmi ai mercati esteri e vanno sostenuti a partire dalla ratifica della accordo con il Canada. Contemporaneamente, in difesa, dobbiamo perseguire l’obiettivo di creare un contesto di regole condivise necessarie a garantire la natura equa del commercio internazionale e a mitigare gli effetti di una globalizzazione squilibrata come abbiamo fatto, assumendo un ruolo guida in Europa, nel caso del mancato riconoscimento alla Cina dello status di economia di mercato. La prossima battaglia che dobbiamo portare avanti è quella per l’inclusione dei principi di sostenibilità ambientale e sociale negli accordi di libero scambio. La stessa strategia duale dovrà continuare ad applicarsi per l’attrazione degli investimenti diretti esteri. Da un lato, razionalizzazione e semplificazione della governance delle politiche di attrazione e definizione di nuovi strumenti nella convinzione che l’Italia ha bisogno di capitale di crescita. Dall’altro lato, tutela dell’interesse nazionale contro operazioni predatorie verso imprese ad alto contenuto tecnologico anche usando la nuova golden power varata dal Governo a questo scopo. Infine il Piano straordinario per il Made in Italy, che ha coinvolto oltre 17mila imprese, deve essere prolungato e potenziato in particolare nelle direttrici dell’e-commerce e dell’aumento delle imprese esportatrici.

3 |Gestire le trasformazioni

I processi di trasformazione dell’economia si sono fatti sempre più rapidi con l’accorciarsi dei cicli di sviluppo tecnologico che ha reso sempre più frequente l’emergere di tecnologie disruptive. La nuova condizione di normalità è dunque quella in cui segmenti o interi settori industriali sono costantemente spiazzati. Occorre attrezzare il Paese a prendersi cura degli “sconfitti”; di quei lavoratori e di quelle imprese che nel breve periodo sono vittime del cambiamento. Alcune iniziative sembrano aver dato risultati. È il caso della strategia di recovery settoriale attuata per i call center con salvaguardia salariale e il ritorno degli investimenti nei settori dell’alluminio e dell’acciaio.

Occorre però sistematizzare queste modalità di azione, ingegnerizzando per così dire il modello e massimizzando la velocità di intervento. Funzionale allo scopo sarebbe la possibilità di potenziare nelle aree di crisi complessa soluzioni eccezionali: strumentazioni dedicate per le imprese beneficiarie di agevolazioni (deroghe alle regole del mercato del lavoro e ammortizzatori sociali, semplificazioni e accelerazioni burocratiche/autorizzative, supporto prioritario del Fondo di Garanzia, defiscalizzazioni) e iter accelerati per bonifiche e interventi infrastrutturali per poter rapidamente rilanciare l’attività d’impresa. Altro strumento fondamentale per ricostituire base manifatturiera sono i Nuovi Contratti di Sviluppo destinati per l’80% al Mezzogiorno che spesso vedono protagonisti grandi aziende multinazionali. Il rifinanziamento dei Contratti di Sviluppo costituisce una priorità per gli anni a venire. Occorre infine varare un fondo equivalente al “Globalization Adjustment Fund” dedicato alla riconversione di lavoratori e aziende spiazzati da innovazione tecnologica e globalizzazione.

Non esiste sviluppo, reddito e benessere senza investimenti, imprese e lavoro. Le scorciatoie conducono a vicoli ciechi e non di rado a veri e propri burroni. L’Italia è ancora fragile e le ferite della crisi ancora aperte. È fondamentale che chiunque governerà il Paese riparta da questa consapevolezza e da queste priorità.

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