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ANNI ’50 – SCENARIO

La guerra è finita da pochi anni, la democrazia è ancora fragile. Le forze che hanno retto la lotta di liberazione, dopo aver governato insieme il paese all’insegna dell’unità antifascista, si sono divise: lasciati fuori dal governo già nel 1947, i socialisti e i comunisti uniti nel Fronte popolare subiscono nelle elezioni del 18 aprile 1948 una dura sconfitta e sono sospinti stabilmente all’opposizione. Per oltre un decennio l’Italia sarà governata da coalizioni “centriste”, imperniate sul partito di maggioranza, la Democrazia cristiana, con cui collaborano gli alleati “laici” socialdemocratici, repubblicani e liberali. È in questo contesto di profonda frattura ideale e politica che matura nell’estate del 1948 la fine dell’unità sindacale nella Cgil, fondata con il Patto di Roma nel 1944, e la formazione nel 1950 di Cisl e Uil.

Dopo le elezioni del 1953, che vedono fallire il tentativo di stabilizzare il governo con un premio di maggioranza (la famosa “legge truffa”), questa coalizione andrà sempre più indebolendosi: si apre un periodo di instabilità fino alla crisi dei primi anni Sessanta, quando si aprirà la strada al centro sinistra con l’entrata dei socialisti nell’area di governo. La ricostruzione del paese avviene all’insegna del libero mercato, i suoi costi pesano soprattutto sulle spalle dei lavoratori, le cui condizioni di vita sono difficili per le basse retribuzioni, il ricatto permanente della disoccupazione, l’assenza di diritti all’interno dei luoghi di lavoro. Sulle loro lotte spesso cala pesante la repressione, operata anche con duro impiego della polizia. Particolarmente difficile è la situazione nell’industria, che deve riconvertirsi da un’economia di guerra a una di pace, in grado di reggere sul mercato internazionale. Il paese è spaccato: da un lato le forze di governo, che beneficiano dell’appoggio degli Stati Uniti, i quali varano un grande piano di aiuti all’Europa (il Piano Marshall); dall’altro le forze di opposizione egemonizzate dal Partito comunista, condizionate dal legame ideologico e politico con l’Unione Sovietica e ostili al Piano Marshall. È il riflesso in Italia dell’aspro conflitto internazionale che vede il mondo spaccato in due: l’Ovest dominato dagli Stati Uniti e l’Est dominato dall’Urss (la “guerra fredda”).

Nel 1956 il mondo comunista è scosso da importanti eventi. Al XX congresso del Partito comunista sovietico Nikita Kruscev denuncia pubblicamente i crimini del precedente regime di Stalin. Ma nello stesso anno lo stile “stalinista” torna alla ribalta, quando un’ondata di ribellioni popolari scuote alcuni paesi dell’Est comunista. Particolarmente grave è la crisi in Ungheria nell’autunno: i carri armati sovietici entrano a Budapest e reprimono nel sangue la rivolta di un paese alla ricerca di indipendenza e libertà. Unanime è la condanna del mondo democratico, ma nella sinistra italiana è uno shock. Il Partito comunista condanna la rivolta come “controrivoluzionaria” e giustifica l’intervento armato, solo alcuni intellettuali dissentono. Anche la Cgil, dopo un breve travaglio interno, si allinea al Pci. Non così i socialisti, che condannano l’intervento sovietico e cominciano un processo di autonomia dai comunisti.

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