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ANNI ’60 – SCENARIO

Dal 1959 al 1963 corrono gli anni del “boom economico”: accelerata industrializzazione concentrata al Nord ma con importanti sviluppi al Sud, espansione dei consumi di massa, grandi ondate migratorie dal Sud al Nord, dalla campagna alla città. La televisione comincia a entrare in tutte le case, si fondono mentalità e linguaggi, si trasforma la cultura della gente. …leggi tutto lo scenario

ANNI ’60 – STORIA DELLA FIM

LOTTE E CONTRATTAZIONE

Nel vivo del “boom economico” si risvegliano anche le lotte operaie. In esse la Fim si caratterizza come organizzazione di prima linea, pronta alla lotta anche la più dura ma mai fine a se stessa: l’intensa mobilitazione di quegli anni è costantemente rivolta allo sbocco contrattuale e all’affermazione dei diritti individuali e sindacali in fabbrica. In questo quadro maturano anche le condizioni di una progressiva unità di azione con la Fiom e la Uilm, che la Fim lega costantemente alla battaglia per l’autonomia sindacale. Il decennio si apre con la lunga lotta dei lavoratori del settore elettromeccanico, condotta unitariamente da Fim, Fiom e Uilm. A Milano, epicentro dell’agitazione, si vedono per la prima volta anche gli studenti sfilare con i cortei operai. Rimane nella memoria il “Natale in piazza” (1960), con gli operai in Piazza Duomo a Milano: un evento che desta sorpresa e anche qualche scandalo nella buona borghesia milanese. Il 10 dicembre 1960 per la prima volta le aziende pubbliche, rappresentate dall’Intersind e dall’Asap, firmano l’accordo per il contratto separatamente dalla Confindustria (tra l’altro, l’orario di lavoro settimanale è ridotto di un’ora e mezza). Va ricordato che nella primavera di quell’anno, in attuazione della legge del 1956 che istituiva il Ministero delle Partecipazioni statali, si costituiscono formalmente l’Intersind e l’Asap, le organizzazioni sindacali delle imprese a capitale pubblico dell’Iri e dell’Eni, che così escono dalla Confindustria. È un evento fortemente sostenuto dalla Cisl, che vi coglierà un’importante occasione di sperimentazione innovativa nelle relazioni industriali e nella contrattazione. La Fim non aspetta a valorizzare questa opportunità. Nella siderurgia pubblica, all’Italsider, il 30 aprile 1961 si raggiunge un importante accordo sulla “job evaluation”, sulla valutazione della prestazione lavorativa secondo determinati criteri, introducendo anche un sistema di controllo sindacale sull’organizzazione del lavoro e di conciliazione delle vertenze. La Fim, che è stata forza trainante nella vertenza, si afferma come sindacato che si misura positivamente con i problemi di un’industria moderna, puntando a gestire contrattualmente i cambiamenti. Il cuore dell’iniziativa della Fim è l’impegno per la contrattazione aziendale; vengono promosse azioni a vasto raggio con decine di vertenze, come a Milano nel gennaio 1962. Il contratto nazionale del 17 febbraio 1963 segna un’affermazione del potere sindacale: vi sono cospicui aumenti salariali, l’orario dei siderurgici scende a 40 ore settimanali, si ottengono la parità di trattamento uomo-donna e un avvicinamento alla parità operai-impiegati. Soprattutto viene conquistato il diritto alla contrattazione integrativa. La Fim sente “proprio” questo risultato e lo valorizza sviluppando un’intensa attività formativa, anche tecnica, a ogni livello, di base e dirigenziale, per attrezzare tutte le strutture periferiche e di fabbrica a condurre la contrattazione aziendale. Grande stratega della formazione Fim sarà, da questo momento fino agli anni Settanta, l’emiliano Pippo Morelli, che ha contribuito in modo decisivo – lui, credente convinto – a “laicizzare” e ad aprire la cultura della Fim fuori da ogni recinto.

La contrattazione integrativa, tuttavia, non è acquisizione pacifica e incontra ostacoli crescenti. Si arriva così al contratto del 1966, oggetto di uno scontro durissimo. La Confindustria vorrebbe “congelare” i premi di produzione, oggetto di contrattazione integrativa dopo il 1963. Viene proposta una tregua alle agitazioni, in attesa di un incontro centrale con le confederazioni: Fiom e Uilm accettano, ma la Fim decide di proseguire le agitazioni da sola, destando sorpresa nell’opinione pubblica. L’intransigenza della Fim è dettata non da massimalismo ideologico, bensì da concrete ragioni sindacali: “congelando” i premi di produzione si finirebbe col vanificare di fatto la prospettiva della contrattazione aziendale. E tuttavia anche nella Fim si fa strada una valutazione più realistica del rapporto di forze esistente: alla fine, sospinta da Pierre Carniti, la maggioranza è per la firma del contratto, che avviene a novembre per le aziende a partecipazione statale e a dicembre per quelle della Cponfindustria. Ma diversi dirigenti della Fim, anche tra i più autorevoli (Castrezzati ad esempio), si mantengono in una posizione di rifiuto, vedendo messa in pericolo la causa della contrattazione articolata. È un momento di crisi all’interno del gruppo dirigente Fim, che però sarà ben presto superata.

UN’ORGANIZZAZIONE NAZIONALE

Negli anni Sessanta la Fim vede progressivamente collegarsi le varie esperienze locali, si articola su tutto il territorio nazionale. Il centro propulsore è la Lombardia, in particolare Milano (dove a quell’epoca c’è la sede nazionale) e Brescia. A Torino, dopo i fatti del 1958, si consolida un’avanguardia coraggiosa, fatta segno alla repressione della Fiat. A Genova, dove è importante la presenza dell’industria pubblica, c’è una Fim attenta agli sviluppi tecnologici e organizzativi, ai problemi dei tecnici e degli impiegati ma anche agli strati operai meno qualificati, immessi in massa nel lavoro industriale. Nel Veneto la Fim si afferma in numerose e aspre lotte come organizzazione di punta, fa crescere un gran numero di quadri e acquista una forte identità di categoria. Qui più che altrove crescono gli iscritti e la Fim diventa l’organizzazione di maggioranza tra i metalmeccanici. In Emilia Romagna, Toscana, Marche, la Fim afferma una forte identità in un contesto difficile, segnato dalla pesante egemonia del sindacalismo comunista, ed esprime importanti dirigenti di livello nazionale. Anche nel Lazio e in Abruzzo, con il progressivo estendersi di importanti aree industriali, specie a Roma, Latina, L’Aquila, i metalmeccanici della Cisl cominciano a far sentire la loro presenza, mentre in Umbria si forma una combattiva presenza soprattutto attorno alle acciaierie di Terni. Ma la Fim emerge anche al Sud, a cominciare da Taranto, dove un gruppo di giovani militanti, travasati dai cantieri alle acciaierie dell’Italsider, porta al completo rinnovamento del gruppo dirigente. A Napoli la crescita della Fim è sostenuta da una forte corrente cattolica popolare. In Sicilia la Fim si sviluppa in particolare nelle nuove concentrazioni industriali di Palermo, Catania, Siracusa, mentre in Sardegna sviluppa una cultura originale, legata alle peculiarità dell’isola (agli inizi degli anni Ottanta, la Fim sarda imprimerà anche nel nome un connotato “etnico”, chiamandosi da allora in poi Fsm, in lingua sarda: Federatzione sarda metalmecanicos).

RINNOVAMENTO

La Fim degli anni Sessanta è attraversata da profondi processi di rinnovamento. Si rinnova il gruppo dirigente, nazionale e periferico. Il quarto congresso (Bergamo, 30 marzo-1° aprile 1962) propone il riconoscimento del sindacato nelle aziende per far partecipare le rappresentanze sindacali aziendali alle trattative e alla gestione degli accordi. È un congresso importante, carico di tensioni, che fa emergere i giovani sindacalisti in primo piano. Le spinte all’azione unitaria creano tensioni con la confederazione. Un episodio emblematico è il famoso comizio indetto al Vigorelli a Milano per l’11 aprile 1962, nell’ambito di uno sciopero generale a sostegno di una fitta serie di vertenze aziendali. Per dare maggior forza alla mobilitazione, era stato decisio di far tenere il comizio ai due segretari generali nazionali di Fim e Fiom, Volontè e Trentin (appena nominato). Ma la Cisl, da Roma, impone a Volontè di non tenere il comizio. Allora Carniti decide di tenerlo lui a nome della Fim, e così avviene. Il fatto è che il vecchio gruppo dirigente appare sempre più in difficoltà nel tenere dietro asi cambiamenti, e Volontè, uomo di grande onesta e dirittura morale, lo riconosce e rassegna le dimissioni nell’ottobre del 1962. Viene allora proposto a Luigi Macario, già braccio destro di Pastore in confederazione ma ora – con la dirigenza Storti – di fatto emarginato, di assumere la guida della Fim. Macario accetta subito e dal novembre 1962 è segretario generale della Fim. È una scelta provvidenziale: Macario è l’uomo giusto per guidare la transizione verso il nuovo senza rotture traumatiche con la vecchia generazione. Via via negli anni lo affiancheranno “uomini nuovi” come Pierre Carniti, Nino Pagani, Franco Castrezzati, Gian Battista Cavazzuti, Alberto Gavioli, Pippo Morelli. Questi dirigenti, insieme ad altri periferici della Fim che stanno emergendo, porteranno al quinto congresso nazionale della Cisl (Roma, aprile 1965) una voce critica, per stimolare la confederazione a costruire un sindacato più coerentemente contrattualista e autonomo. Attorno alla Fim cominciano a coagularsi le forze più innovative all’interno della Cisl.

C’è anche rinnovamento culturale. “Il ragguaglio metallurgico”, organo mensile della Fim, si apre a un ampio dibattito interno. Nel febbraio 1964 nasce “Dibattito sindacale”, una rivista diretta da Pierre Camiti (allora ancora segretario della Fim milanese) che diventa strumento di battaglia politica e culturale non solo dentro la Cisl, ma anche verso la Fiom e la Uilm. Si consolidano i legami con la sinistra cattolica, in particolare con le Acli anch’esse in forte e parallela evoluzione, ma guardando anche fuori del mondo cattolico. Nascono esperienze nuove nel campo della formazione. Nella memoria di molti sono rimasti i “campi estivi” di Renesso (Appennino ligure), dove tra il 1967 e il 1968 si svolgono corsi con metodi nuovi, introducendo la figura dell’animatore, il lavoro di gruppo, la ricerca collettiva. Dal 9 all’11 ottobre 1964 si svolge a Novara la prima conferenza organizzativa, importante per la messa a punto dei motivi innovatori nella Fim: autonomia, superamento della spaccatura tra lavoratori e unità d’azione, impegno formativo, democrazia nel sindacato, ruolo delle rappresentanze di fabbrica. Attenzione anche per gli impiegati, con la formazione di “consulte” specializzate al centro e in periferia. La Fim non si occupa solo del quotidiano sindacale, ma anche della crescita democratica e civile dei suoi militanti e iscritti. Resta nella memoria l’intervento all’assemblea di Novara dell’ex partigiano Ermanno Gorrieri, uno dei padri fondatori della Cisl in Emilia, che tiene una lezione-testimonianza sulla Resistenza. A Brescia (14-16 marzo 1965) si tiene il quinto congresso, che affronta in particolare i problemi e le difficoltà che va incontrando la contrattazione articolata nelle aziende. Per questo la Fim accentua l’impegno sui problemi dei diritti dei lavoratori e del sindacato in fabbrica: il 3 aprile 1966 a Torino la Fim indice su questi temi una manifestazione, contro le rappresaglie della Fiat. Importanti le adesioni dall’esterno: l’arcivescovo di Torino padre Pellegrino, Livio Labor delle Acli, Riccardo Lombardi del Psi, e ancora Francesco De Martino del Psi, Vittorino Colombo della Dc. Cresce anche l’impegno in campo internazionale: rapporti con sindacati stranieri, in particolare con la Cfdt francese molto vicina per storia e cultura alla Cisl; mobilitazione per le lotte di liberazione “a tutto campo” (terzo mondo, America Latina); sviluppo di legami privilegiati con il sindacalismo indipendente e democratico della Spagna ancora oppressa dalla dittatura di Franco. La Fim non guarda in faccia a nessuno: si mobilita sia contro la guerra americana in Vietnam che contro l’oppressione sovietica in Cecoslovacchia.

UNITÀ E AUTONOMIA

Fin dagli inizi degli anni Sessanta maturano le condizioni per un’unità di azione con la Fiom e la Uilm. Ciò crea anche forti tensioni dentro la confederazione. È un’unità difficile, disseminata di conflitti specie con la Fiom, perché la Fim ribadisce costantemente una condizione: l’autonomia dalle forze politiche e, come premessa indispensabile di essa, l’incompatibilità tra cariche politiche e cariche sindacali, che per la Fim è già linea acquisita fin dal congresso di Bergamo del 1962. Non è un processo indolore, e la questione dell’incompatibilità crea degli shock anche dentro la Cisl. Maggiori difficoltà incontrano su questa via anche la Fiom e la Uilm, nelle quali sono attive le componenti di partito, ma anch’esse alla fine del decennio fanno proprio questo principio.

IL ‘68 E L’AUTUNNO CALDO

Le spinte antiautoritarie e libertarie del ‘68 trovano un terreno fertile nella Fim. Ad essa vengono nuove adesioni, con nuovi apporti culturali che vanno dal marxismo critico al socialismo libertario. La Fim fa presa tra le giovani generazioni di lavoratori, cresce numericamente: i 189.000 del 1969 diventano quasi 260.000 nel 1970, per superare poi i 300.000.

Tra il 1968 e il 1969 si dispiega un potente movimento rivendicativo dei lavoratori, specie dell’industria. Nelle fabbriche è contestato l’autoritarismo nell’organizzazione del lavoro, si chiedono nuovi diritti e migliori condizioni di vita e di lavoro. Il sindacato modifica la sua organizzazione di fabbrica, man mano che si sviluppano la contrattazione aziendale e il processo unitario. Nascono strutture unitarie all’insegna di una forte partecipazione dal basso. Si estendono le lotte per le riforme, con i sindacati sempre più spesso schierati unitariamente. La tensione sociale, alla fine degli anni Sessanta, è altissima nel mondo del lavoro. Ci sono momenti drammatici: il 2 dicembre 1968 ad Avola, durante una manifestazione duramente repressa dalla polizia, muoiono due braccianti iscritti alla Cisl; altri due lavoratori sono uccisi a Battipaglia il 9 aprile 1969. Tutto un clima di intimidazione si crea attorno al mondo del lavoro in ebollizione. Al sesto congresso nazionale (Sirmione 12-14 giugno 1969), la Fim si prepara all’imminente contratto di categoria. Ma ci sono anche altri temi che tengono banco: si accentua la spinta anticapitalistica nell’organizzazione, si critica a fondo l’organizzazione tayloristica del lavoro, si preme per l’unità con Fiom e Uilm, si richiede una maggiore democrazia interna nella Cisl. Analoghi processi di radicalizzazione si esprimono nei contemporanei congressi delle categorie della Cisl, specie dell’industria. A fine luglio 1969 Fim, Fiom e Uilm mettono a punto la piattaforma unitaria per il contratto. Le richieste rispecchiano da vicino il bagaglio culturale della Fim: settimana lavorativa di 40 ore per tutti, controllo degli straordinari, ampliamento dei diritti sindacali, parità normativa tra operai e impiegati, aumenti uguali per tutti. La mobilitazione è fortissima, la tensione anche. Siamo all’“autunno caldo”. La partecipazione dei lavoratori, anche degli impiegati, agli scioperi è massiccia. A Torino, il 25 ottobre 1969, un’imponente manifestazione regionale unitaria dà un saggio anticipato di quella che si sarebbe svolta di lì a poco a Roma. Qui infatti il 28 novembre 1969, a piazza del Popolo, oltre centomila metalmeccanici da tutta Italia ascoltano i comizi dei tre leader Macario, Trentin, Benvenuto. E finalmente i contratti arrivano in porto (l’8 dicembre con le aziende pubbliche, il 23 dicembre con la Federmeccanica). Per il sindacato è un grande successo: consistenti aumenti salariali, settimana di 40 ore, allargamento dei diritti sindacali (diritto di assemblea, riconoscimento dei delegati aziendali: si estende infatti l’esperienza dei consigli dei delegati come rappresentanza unitaria, al posto delle commissioni interne), diritto alla contrattazione integrativa. Ancora una volta la Fim riparte con un’intensa attività formativa per attrezzare le proprie strutture a gestire i risultati contrattuali.