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«Serve un patto per l’auto, la svolta green deve essere socialmente sostenibile»

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Intervista al Segretario generale Fim Cisl Roberto Benaglia

di Rita Querzé – Corriere della Sera,  14 Agosto 2021

Abbiamo 14 anni per gestire la conversione all’elettrico dell’automotive. Una sfida epocale — riflette il leader della Fim Cisl Roberto Benaglia —. Parliamo di un settore che dà lavoro a 1,25 milioni di persone e rappresenta il 20% del Pil. È la spina dorsale della nostra industria. a rendere le cose più difficili c’è il fatto che la capacità produttiva in Europa oggi è ridotta del 25%. Non possiamo sbagliare».

Proposte, in concreto?

«Serve un patto per l’automotive tra governo, sindacati, imprese. O rendiamo la transizione ecologica socialmente sostenibile o rischiamo grosso. Uno scenario con aumento delle bollette e perdita di posti di lavoro sarebbe benzina per un nuovo populismo degli anni ‘20. Dobbiamo mettere ora le basi perché questo non accada».

Come?

«Bisogna creare un fondo sociale per la decarbonizzazione per i settori più toccati dalla transizione ecologica: automotive, energia, ceramica, cemento, siderurgia, termomeccanica. Oltre agli ammortizzatori servono risorse per la riconversione del lavoratori. Chi deve passare ad altre produzioni va formato».

Chi dovrebbe mettere i soldi, lo Stato?

«Solo in parte, penso a un fondo mutualistico, finanziato anche con la contrattazione. Sarà utile, a partire dal prossimo contratto nazionale, ragionare anche sul fatto che, nei settori coinvolti dalla transizione, si dovrebbe poter lavorare 4 giorni alla settimana e dedicare il quinto a formazione e conciliazione».

Stellantis vi preoccupa?

«Chiediamo più chiarezza e più orizzonte sullo sviluppo in Italia».

Il governo pensa a un decreto per mettere paletti alle multinazionali che delocalizzano. Le imprese che cercano di massimizzare il profitto vanno ostacolate?

«Nessuno vuol porre limiti alla libertà di impresa. Ma credo sia ragionevole chiedere a chi se ne va, pur non avendo i conti di rosso, di dimostrare un minimo sindacale di responsabilità sociale, di reindustrializzare e garantire lavoro investendo su soluzioni per i lavoratori che hanno contribuito per anni a creare ricchezza».

Nessuno vuole prendersi decisioni impopolari tra i lavoratori non vaccinati: né il governo, né il parlamento, tantomeno il sindacato. Come se ne esce?

«Lo abbiamo detto e ripetuto: il sindacato non può farsi carico di disposizioni che possono essere prese con una legge. Detto questo, le aziende non possono fare a meno del 30% dei lavoratori oggi non vaccinati. Noi siamo pronti a scendere in campo da settembre con assemblee nelle fabbriche per supportare le vaccinazioni e affrontare nello stesso tempo la questione della sicurezza sul lavoro. Le imprese non possono diventare un campo di battaglia tra vax e no vax».

Ci saranno altri scioperi per il green pass in mensa?

«Alla Hanon Systems di Torino ci abbiamo messo la faccia, rischiando. Non potevamo dividere i lavoratori tra chi mangia e chi no. Speriamo non sia più necessario».

La riforma degli ammortizzatori è rimandata a settembre. A fine ottobre scadrà il blocco licenziamenti per le piccole imprese…

«Il governo chiarisca quali sono le risorse in campo e si sblocchi subito questo dossier. Insieme con quello delle politiche attive».