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Domenico Paparella – Segretario nazionale Fim Cisl 1977-1986

Domenico Paparella. Sono nato nel settembre del 1947 in un paesino della Basilicata, ultimo di sette figli. Mio padre era analfabeta e faceva il minatore, il suo lavoro era soprattutto scavare gallerie. Il lavoro lo aveva portato a Trento, dove ogni tanto mia madre lo raggiungeva. In uno di quei trasferimenti io sono stato concepito. Il mio primo ricordo è quello dell’ospedale dei bambini di Trento, dove ero stato ricoverato per nefrite.
Attorno al 1950 a mio padre fu riconosciuta l’invalidità per aver contratto la silicosi, la malattia tipica dei minatori, andò in pensione e tornò al paese. Noi non eravamo una famiglia contadina, e questo in Basilicata era un grosso svantaggio: la pensione di mio padre non bastava a mantenere la famiglia. Così ci spostammo al Nord, a Genova, dove già erano emigrati alcuni dei nostri parenti. Al nord era già andato anche il primo dei miei fratelli, che si chiamava Domenico come me: fu fucilato a Borgo San Dalmazzo in Piemonte insieme ad altri 12 partigiani di Giustizia e Libertà nel 1944. Aveva solo 19 anni. Di questo episodio hanno scritto Giorgio Bocca e Nuto Revelli.
Noi arrivammo a Genova nel 1957. Frequentai la quarta elementare e feci l’amara l’esperienza del razzismo verso i meridionali, molto diffuso tra le classi popolari: più volte sono stato picchiato da due miei compagni perché ero terrone. Dopo le elementari frequentai l’avviamento professionale.
Abitavamo a Rivarolo, un quartiere operaio di Genova. Mio papà, come ho detto, era in pensione e io, finito l’avviamento, cominciai a lavorare, dapprima in un negozio di salumiere, poi in una società che installava impianti elettrici nei cantieri edili. Infine trovai lavoro in un negozio di elettrodomestici; consegnavo e installavo elettrodomestici e nel corso di uno di questi servizi capitai in casa di una persona che mi consigliò di fare domanda all’Ansaldo.
Entrai all’Ansaldo nel 1962. Fummo assunti come allievi: di mattina andavamo in fabbrica e di pomeriggio frequentavamo un ente professionale che di fatto fungeva da apprendistato, mentre la sera continuavo a studiare. Poi, il 20 agosto 1963, fui assunto all’Ansaldo come operaio comune di seconda categoria (quindi appena sopra il manovale), con una paga oraria di 108,50 lire. Avevo 16 anni ed ero tra i primi giovani ad essere stati assunti all’Ansaldo dal dopoguerra, visto che gli anni Cinquanta erano stati anni di ristrutturazione profonda per tutte quelle aziende, tra cui l’Ansaldo, che avevano beneficiato dell’aumento della produzione nel periodo bellico.
All’Ansaldo continuavo a fare il lavoratore studente. Siccome allora i lavoratori studenti erano un fenomeno sociale abbastanza rilevante, mi impegnai in un’organizzazione che li rappresentava. Di organizzazioni del genere ce n’erano due, una di sinistra e una legata alle Acli. Quest’ultima, però, a Genova non era presente e così aderii alla prima. Comunque la mia formazione restava cattolica (avevo anche fatto lo scout). Andando in fabbrica mi resi presto conto che alcuni dei problemi dei lavoratori studenti potevano essere risolti con la contrattazione. Tra l’altro erano gli anni in cui la contrattazione collettiva cominciava a dare segni di vita.

La presente intervista, realizzata a cura di Ester Crea nel giugno 2007, è stata modificata/integrata in alcuni punti – con il consenso dell’intervistatrice – alla luce di una successiva intervista da noi realizzata e sostanzialmente coincidente. In questa forma è stata pubblicata nel volume Domenico Paparella. Operaio, sindacalista, esperto, Edizioni Lavoro 2011, in memoria di Domenico, morto prematuramente l’8 luglio 2009

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