Skip to content Skip to main navigation Skip to footer

FCA: alla ricerca della verità perduta.

Condividi questa pagina

Fiat, quanti buchi nel romanzo di Landini.

Superare il dialogo tra sordi, che ha contraddistinto le relazioni tra i sindacati nell’universo ex-Fiat presuppone una sintassi unitaria. Un linguaggio logico in grado di dimostrare i propri teoremi, fondato sulla realtà, costruito su dati inconfutabili. Indipendente da una simbologia del conflitto che, sradicato dalla fabbrica, ha bisogno – per vivere nella fiction mediatica – di continue “bugie” o “mezze verità”.

E non mi riferisco solo alle “cialtronerie” di Maurizio Landini che nel dicembre 2014 ha dichiarato “[…] siamo davanti ad un vero processo di delocalizzazione verso Polonia, Serbia e Turchia […](1)” e “[…] non so se vi è arrivata questa notizia, ma la Fiat in Italia non esiste più […]”(2). Nemmeno alla bufala pubblicata dal Fatto Quotidiano (solitamente meticoloso nel fornire le notizie)(3) sui 21mila posti di lavoro persi in Italia da Fiat Chrysler nell’era Marchionne.

Mi riferisco alla recente nota di Fiom-Cgil, ripresa da agenzie di stampa, giornali e siti online, in cui si afferma che “[…] negli stabilimenti italiani dell’auto di FCA gli occupati sono passati dai 67.878 del 2008 ai 62.488 del 2013, con un saldo negativo di oltre 5.300 posti di lavoro. […] nello stesso periodo è fortemente diminuito il peso degli stabilimenti italiani nel gruppo, che nel 2008 occupavano il 34,2% del totale, sceso al 27,7 nel 2013, con un saldo negativo del 6,5% […].

In quattro righe ci sono cinque madornali errori e un solo dato corretto. La riduzione nel 2013 del peso dell’occupazione (non del numero degli stabilimenti) in Italia al 27,7 per cento sul totale dell’occupazione di FCA (dato confermato nel 2014).

In realtà il peso percentuale dell’Italia, nel nuovo perimetro di FCA dopo la fusione tra Fiat e Chrysler, e’ diminuito molto di più di quanto affermi la Fiom, ma non per questo si può parlare di ridimensionamento degli occupati di Fiat Chrysler Automobiles nel nostro paese e, tantomeno, di “fuga dall’Italia”.

Percentuale occupati in Italia sul totale degli occupati in Fiat dal 2003 al 2010 e in FCA nel 2014

Andamento occupati in Fiat dal 2003 al 2010 e in FCA nel 2014 in Italia e nel resto del mondo

A far giustizia di questa apparente contraddizione ci sono i dati contenuti sia nei bilanci di sostenibilità, sia nelle relazioni finanziarie e i bilanci annuali di Gruppo dal 2003 al 2014 (per restare nell’era di Marchionne). E’ sufficiente saperli rielaborare, comparando mele con mele e pere con pere. E volerli leggere con onesta’ intellettuale. Di motivi per i quali batterci sindacalmente nell’interesse dei lavoratori ce ne sono talmente tanti che – come diceva Bruno Trentin – “non e’ il caso di dichiarare guerre per errore”.

I dati contenuti nei due istogrammi sono inerenti lo stesso perimetro di attività manifatturiere (produzione di auto e veicoli commerciali, componenti e sistemi di produzione) di Fiat dal 2003 a 2010, comparati con quelli di FCA del 2014 (dopo la fusione di Fiat con Chrysler).

Come si può vedere dal primo grafico il peso dell’Italia era già in contrazione tra il 2003 e il 2010 dovuto, soprattutto, alla crescita di Fiat in Brasile e Polonia. Ma il gioco non e’ per nulla a sottrazione. Infatti, dal secondo grafico, risulta che il numero degli occupati del Gruppo cresce sia in Italia, sia nel resto del mondo. L’unica differenza e’ che il tasso di crescita e’ differente (del 19,8 per cento in Italia, del 56 per cento nel resto del mondo). Il salto dimensionale, pero’, avviene nel 2014 attraverso la fusione con Chrysler. Un’azienda essenzialmente nordamericana (Canada, Messico, Usa). E’ naturale, quindi, che il numero degli occupati del Gruppo in Italia pesino percentualmente di meno sul totale, nonostante continuino a essere numericamente di più.

 

Dis-missioni e acquisizioni: un saldo in attivo

Mentre nel resto del mondo l’occupazione di Fiat e Chrysler e’ cresciuta sia per nuovi investimenti greenfield, sia per ampliamenti produttivi e di organico per rispondere a mercati in forte crescita; in Italia gli occupati nel settore automotive aumentano, nonostante il crollo del mercato, essenzialmente per una politica di nuove acquisizioni (dalle Carrozzerie Bertone alla VM Motori, dalla Ergom alla Plastic Components and Modules, dalla Imam alla Itca, alla Teksid Alluminio ecc.). A queste acquisizioni fanno da contrappunto la dismissione dello stabilimento automobilistico di Termini Imerese e la vendita di asset minori di Teksid.

Al crollo del mercato italiano ed europeo dell’auto e alla forte riduzione dell’utilizzo della capacita’ produttiva installata (con punte altissime e una media del 30-50 per cento) si e’ risposto con gli strumenti della cassa integrazione (ordinaria e straordinaria) e con i contratti di solidarietà, salvaguardando l’occupazione.

Nonostante in alcuni siti produttivi il mancato turnover abbia comportato un forte calo degli organici, il teorema del ridimensionamento occupazionale complessivo di Fiat in Italia nel settore automotive – sostenuto da Fiom – e’ smentito dai numeri, come con maggior dettaglio confermano il terzo e quarto istogramma.

FCA – andamento totale occupazione in Italia 2003-2014

FIAT – andamento dell’occupazione in Italia 2003-2010 per singola società

Nel 2008 gli occupati in Italia nel perimetro dell’automotive (FGA, Ferrari, Maserati, Fiat Powertrain (4), Magneti Marelli, Teksid, Comau) risultano 55.196 e non 67.878 come riportato nella nota Fiom. Questa sovrastima del diminuendo, di oltre 12 mila unita’, ha finito per produrre – secondo la Fiom – un saldo negativo di oltre 5.300 posti di lavoro dal 2008 al 2013. Viceversa il saldo complessivo occupazionale nel periodo considerato e’ positivo per oltre 4.800 posti di lavoro. In pratica, l’esatto contrario. E’ bastato rovesciare i segni (il più con il meno), per continuare una narrazione sbagliata.

Non significa che in questi anni non ci siano stati problemi occupazionali. Anzi, ce ne sono stati in abbondanza. Dalla chiusura di Termini Imerese all’uso massiccio degli ammortizzatori sociali, specie nei siti di assemblaggio auto, con l’eccezione di Sevel, Ferrari e Maserati. Significa, pero’, che l’idea di una “fuga di Fiat dall’Italia” – veicolata dalla Fiom e da settori politici e imprenditoriali (sprovveduti o in malafede) e amplificata dai media (specie quelli televisivi) – e’ falsa.

Il rilancio del plant di Pomigliano a Napoli, il consolidamento di Sevel in Val di Sangro, lo sviluppo della Maserati a Grugliasco (Torino), la fine della cassa integrazione e la ripresa delle assunzioni a Melfi (Potenza), i nuovi investimenti di processo e prodotto a Cassino (Frosinone) e Mirafiori (Torino), vanno “in direzione ostinata e contraria” al flusso dei luoghi comuni. E raccontano un’altra storia.

Nel periodo precedente l’acquisizione di Chrysler e la successiva fusione con la nascita di FCA (dal 2003 al 2010), disponiamo dei dati del settore automotive in Italia disaggregati per singole società.

Da questi dati rappresentati nel quarto grafico emergono tre elementi significativi:

1- la crescita degli occupati in Fiat Group Automobiles. Ciò si deve a un allargamento del perimetro interno al Gruppo (vedi acquisizioni di attività Comau) e a nuove acquisizioni esterne. Quest’ultime dimostrano la scelta d’investire nel manifatturiero nonostante la crisi finanziaria ed economica (cambiando verso alla fallimentare gestione di Cesare Romiti dall’inizio anni ’90 allo stato di crisi aziendale del 2002);

2- il salto occupazionale di Magneti Marelli nel 2008. Attribuibile all’ingresso, nell’area di consolidamento della componentistica, della linea di business Plastic Components and Modules attiva nella produzione di componenti auto in plastica;

3- il brusco calo occupazionale che registra Comau nel 2004, dovuto alla cessione del Service e Stampi Mirafiori a Fiat Auto e Fiat-GM Powertrain. I cali successivi (2007 e 2008) sono, invece, dovuti sia alla cessione ad altre società del Gruppo Fiat delle attività di Engineering e di Stampi Plastica, sia alla crisi di mercato nei sistemi di produzione.

 

L’acquisizione di Chrysler: il grande balzo in avanti

FCA – andamento totale occupazione nel mondo 2003-2014

Qualunque cosa si possa sostenere sindacalmente, il “grande balzo in avanti” del Gruppo Fiat nel settore automotive e’ stato fatto insieme a Chrysler (quinto grafico). I detrattori di ogni colore dovrebbero, per onesta’ intellettuale, fare il rewind della narrazione su Fiat e immaginare di riscriverla senza la Chrysler.

Per amor del vero, non e’ facile neppure immaginare la “resurrezione” di Chrysler senza la Fiat. Erano pochi coloro che nel 2009 scommettevano nel rilancio della Chrysler, dopo il fallimento dell’alleanza con la tedesca Daimler. “Convertire due debolezze [Fiat e Chrysler] in una nuova forza” (5) sembrava un obiettivo impossibile. Invece dal 2009 (anno d’inizio di questa sfida) a oggi, i dipendenti del gruppo negli Usa sono passati da 47mila a 77mila. Non lontani dagli 80mila del 2006. E il livello di vendite raggiunto da FCA nel 2014 sulla sponda americana e’ stupefacente. Superati i due milioni di veicoli immatricolati, il dato migliore dal 2006. Una crescita che archivia definitivamente la crisi della “vecchia” Chrysler. Per il terzo anno consecutivo i veicoli Jeep hanno messo a segno vendite mondiali senza precedenti. Hanno superato il target del milione di Suv. Solo negli Usa il balzo delle vendite è stato del 41 per cento.

L’exploit americano produce ricadute positive sul nostro paese. Non solo per i conti economici di FCA, che chiude l’esercizio 2014 con un utile netto di 632 milioni di euro. Ma, soprattutto, per la produzione di valore che ha permesso (e permetterà) di coprire i notevoli investimenti di processo e di prodotto realizzati (e in via di realizzazione) nei plant italiani.

Quanto ciò sia vero e’ dimostrato dal grafico seguente, che dimostra come il 55 per cento sul totale dei ricavi del Gruppo sia realizzato in nord America (Canada, Messico e Usa). In Italia i ricavi sono solo l’8 per cento contro il 28 per cento dei siti produttivi e dell’occupazione e il 45 per cento dei centri di ricerca. Con questi numeri che non si possono confutare, la domanda posta a titolo del grafico e’ del tutto retorica, visto che contiene in se’ la risposta.

 

FIAT- fuga dall’Italia?.001

 

FIAT- fuga dall’Italia?.002

 

Conclusioni

Senza la Chrysler, la Fiat non avrebbe avuto ne’ le risorse, ne’ la dimensione globale per durare come produttore autonomo. Senza la Fiat, la Chrysler non avrebbe ne’ innovato le fabbriche con il WCM, ne’ rilanciato i propri brand. Entrambe, se non fossero uscite dai propri confini, avrebbero avuto il destino segnato. Se oggi, invece, sono un player globale nel settore auto e’ perché hanno saputo combinare le differenti esperienze e competenze in una nuova architettura aziendale multipolare.

 

 

(1) il manifesto, 17 dicembre 2014, pag. 5

(2) trasmissione televisiva Ballarò, 3 dicembre 2014, Rai3

(3) articolo di Chiara Brusini sul Fatto Quotidiano, 14 gennaio 2015

(4) gli occupati di Fiat Powertrain (con l’esclusione di quelli legati alle attività di Iveco e CNH) sono contabilizzati a partire dal 2005, a chiusura della joint venture con GM. Questo spiega, in gran parte, l’incremento occupazionale totale registrato nel 2005 rispetto l’anno precedente

(5) Giuseppe Berta, Fiat Chrysler e la deriva dell’Italia industriale, il Mulino, Bologna 2011

FCA- alla ricerca della verità perduta  / link x scaricare intero articolo con i grafici in pdf

L’articolo interamente pubblicato sul quotidiano Conquiste del Lavoro il 4 febbraio 2015 (due file in pdf)

Fiat e “la fuga” dall’Italia

[…] anatomia di una bufala