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Whirlpool – Su di me la rabbia operaia, ma azienda ha sbagliato piano

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Intervista a Marco Bentivogli – di Emanuele Imperiali

Corriere del Mezzogiorno 1 febbraio 2020

Bentivogli, al termine della riunione per la vertenza Whirlpool al Mise gli operai che erano a Roma sotto la sede ministeriale si sono scagliati contro di voi. Lei è tra quanti ci sono finiti nel mezzo. Ci racconta cosa è successo?

Abbiamo concluso la riunione con una posizione unitaria del sindacato. La proroga della tregua da marzo a ottobre è insufficiente. Abbiamo deciso uno sciopero di tutto il Gruppo. In modo più marcato abbiamo, con diverse sfumature detto al Governo che se non è in grado di spostare Whirlpool dalla sua posizione, nel frattempo valuti un piano b in modo che se l’azienda confermerà a fine anno le sue posizioni, i lavoratori non restino in mezzo ad una strada. Siamo scesi, ho preso il megafono, ho finito di informare come era andata la riunione dando peraltro un giudizio negativo. Mentre passavo il megafono al mio collega della Uilm Palombella, un gruppo, assolutamente minoritario, ci ha assaliti con calci spintoni, pugni e sputi. La gran parte dei lavoratori erano altrettanto arrabbiati ma hanno reagito con grande compostezza.

Perché, a suo parere, la legittima rabbia dei lavoratori della Whirlpool si è indirizzata soprattutto contro i sindacati? Quali responsabilità vi addebitano, e lei pensa onestamente che Cgil, Cisl e Uil ne abbiamo?

Succede sempre al sindacato che ha il coraggio di esercitare il suo ruolo con senso di responsabilità e la prima regola è non ingannare i lavoratori, anche se la legittima rabbia e disperazione ti porta ad ascoltare con più facilità di chi propone cose che con cinismo si continuano a sostenere sapendo che non hanno chance. Dobbiamo provare fino all’ultimo a tenere Whirlpool a Napoli ma dobbiamo non avere pronta un alternativa. Il Sindacato è l’unico che mostra la faccia anche per le brutte notizie e i lavoratori se la prendono con chi hanno davanti.

La partita che sta giocando il governo, in particolare la componente 5 Stelle, prima con Di Maio, ora con Patuanelli, al vertice del Mise, non rischia di alimentare uno scaricabarile, laddove è colpa loro se finora la vertenza Whirlpool è rimasta all’anno zero?

Nell’incontro piano piano escono le notizie. Apprendiamo da azienda e Governo che i soldi della Regione Campania sono solo fondi utilizzabili per la formazione delle competenze digitali dei lavoratori. L’azienda si è affrettata a dire che non è vero. Benissimo lo scriva. E’ sbagliato personalizzare, non ho nulla di personale contro Di Maio, ma il suo stile di conduzione del Mise è stato disastroso e per rimuovere le ceneri prodotte ci vorranno anni. Ha risolto Ilva in 3 mesi e altre decine di vertenze che sono tutte a gambe per aria. Si è occupato per quasi un anno solo di dimostrare che il suo predecessore era incapace e lui bravissimo. Tempo perso, utile per chi vede le vertenze dalla tv per i lavoratori è stato drammatico. Questo è il prezzo di avere arruffapopoli e incompetenti alla guida delle Istituzioni. Di Maio sapeva da Aprile della chiusura di Napoli, non ci ha convocati fino alle elezioni europee e dopo ha spiegato che avrebbe sistemato tutto lui. Ma poi ha traslocato alla Farnesina. Il Ministro Patuanelli ha detto che in Italia le norme non consentono di obbligare un azienda a restare. E’ stato criticato ma almeno ha detto la verità. Questo non significa che il Governo debba alzare bandiera bianca. Bisogna muoversi e al più presto.

L’azienda è stata cinica, ma chiara fin dal primo momento: lo stabilimento di Napoli è antieconomico, va chiuso. Anzi hanno prima ha accettato di spostare la fine della produzione al 30 marzo e ora a fine ottobre. Lei ritiene che possa fare di più e che cosa?

L’azienda ha la responsabilità di costruire i piani industriali. Se sceglie da anni un prodotto per Napoli, ovvero una lavatrice di grandi dimensioni di fascia alta. Poco venduta nell’area Emea, sempre meno in Argentina per la crisi locale, e pochissimo in Us e India per dazi doganali alle importazioni. Se il prodotto assegnato a Napoli non si vende e si è crollati da 700.000 lavatrici anno a 120.000 bisogna integrare con nuove produzioni e questa è responsabilità della Whirlpool. Ha gestito male l’integrazione con il Gruppo Indesit da cui ha perso professionalità importanti. Questo Gruppo ogni 2 anni ci presenta la chiusura di almeno un sito. Forse la sua strategia industriale non è adeguata alle sfide del settore. Non è colpa dei lavoratori se chi sta nella stanza dei bottoni fa errori su errori.

Ora, come sempre fa il Mise, ha lasciato a Invitalia la patata bollente. Qualche pensa sia la strada per riconvertire lo stabilimento di via Argine che attualmente produce lavatrici? Non intravede il pericolo di una nuova, defatigante, vicenda Blutec?

Invitalia verificherà se partendo dai dati in dataroom (quelli di Whirlpool) arriva alle stesse conclusioni dell’azienda. E in ogni caso penserà entro luglio (un po’ tardi dire) ad un piano industriale che a partire dal tentativo di ricoinvolgere Whirlpool o altri investitori del settore assicuri continuità produttiva e occupazionale. Certo se confermeranno la loro scelta si apre uno scenario preoccupante. Molte reindustrializzazioni sono state date in mano a soggetti inventati o ridicoli, senza nessuna credibilità industriale. Bisogna anche chiedersi perché altrove si reindustrializza, si riconverte il sistema industriale e in Italia il fallimento di questi processi è quasi sempre all’orizzonte? Abbiamo un ceto politico che metà è anti-industriale e l’altra metà è a-industriale. Entrambi non conoscono ne industria ne il lavoro. Con la situazione disastrosa sul lavoro sentire il Ministro della sanità che ha solo l’assillo di abolire il jobs act fa capire che l’attenzione al bene comune è un miraggio e le scaramucce di ceto prevalgono su tutto.

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