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Auto, Uliano: «Serve una politica industriale o l’elettrico taglierà 70 mila posti di lavoro»

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Corriere della Sera di Andrea Rinaldi 15 febbraio  2023

E’stata una giornata intensa per Ferdinando Uliano. Nel giorno del tanto agognato confronto con Stellantis al Mise, il segretario nazionale dei metalmeccanici Fim Cisl deve digerire l’Ue che tira dritto sullo stop al motore endotermico al 2035.

Uliano, a nulla sono valsi gli appelli di sindacati, costruttori e componentisti.

«Hanno confermato quella che ormai è una decisione già presa. Le case automobilistiche si stanno attrezzando per interrompere le produzioni endotermiche nel 2030 e noi siamo preoccupati perché l’impatto ricadrà sull’occupazione. Oggi la filiera è posizionata per il 55% sui motori a benzina e per il 59% su quelli a diesel: sono in pericolo 70 mila lavoratori diretti».

La neutralità climatica passa però da vetture a zero emissioni.

«La decisione presa va verso la sostenibilità ambientale — che noi condividiamo —, ma allo stesso tempo ribadiamo la necessità di una sostenibilità industriale ed economica per un settore importante dell’economia, che produce il 5% del Pil nella filiera produttiva, e che sale al 19% se consideriamo i servizi».

Il governo insiste con gli incentivi. Eppure le vendite di auto elettriche non decollano. La ricetta forse è da rivedere?

«Per ridurre l’impatto negativo su occupazione e struttura produttiva si deve rafforzare la domanda attraverso gli incentivi, perché oggi l’imposizione tecnologica dell’elettrico comporta un aumento dei costi delle autovetture a batteria di circa il 50% e il rischio è che i consumatori non le comprino. Un altro aspetto riguarda il processo industriale, cosa che l’attuale esecutivo e quello precedente non hanno messo in atto: la nostra filiera è completamente da riconvertire, ci sono produzioni che verranno dismesse, penso sì al motore endotermico, ma anche al sistema di scarico o di lubrificazione. Poi c’è un tema che riguarda la trasformazione dei componenti realizzati oggi per l’alleggerimento della vettura come le scocche e poi sterzi, sospensioni, freni. Stabilire una data come il 2035 impone una responsabilità di politica industriale e investimenti significativi. Il governo ha detto che ci sono 6 miliardi per i prossimi sei anni ma per noi sono insufficienti».

C’è anche una forza lavoro che va riprogrammata sulle vetture del futuro.

«Infatti l’altra leva sono la formazione e gli ammortizzatori sociali, necessari per convertire le competenze dei lavoratori, che rischiano di trasformarsi in licenziati».

Lo Stato dovrebbe coinvolgere di più Stellantis e improntare una strategia per i prossimi decenni?

«Abbiamo ribadito al governo la necessità di coinvolgere anche in un comitato specifico il più grande produttore e le realtà più significative dell’auto in Italia per decidere gli indirizzi e come destinare le risorse per gestire il cambiamento della componentistica del futuro. Ma questa cosa non è stata pressoché fatta. Stellantis è importante in Italia ma non è l’unica che consente alla filiera di fare ricavi, tutto il centro Nord lavora con i carmaker inglesi, tedeschi e francesi. La responsabilità rispetto alla specificità della filiera italiana, è da giocare con tutte le case auto».

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