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Ex-Ilva: Produzione e investimenti ridotti. Benaglia, manca una strategia

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Produzione e investimenti ridotti Manca una strategia per l’ex Ilva

Intervista al Segretario generale Fim Cisl Roberto Benaglia 

Avvenire,  17 ottobre 2023 di Cinzia Arena 

Il futuro dell’ex Ilva ancora una volta è avvolto da una nebbia fitta. Il governo Meloni lavora ad un nuovo negoziato con ArcelorMittal ma al momento non ci sono garanzie sui fondi che il socio privato è disposto a mettere sul tavolo per il piano decennale da 5,5 miliardi di euro che dovrebbe portare alla produzione di acciaio “verde” con forni elettrici. A parlare di una «situazione di stallo» tre settimane fa è stato lo stesso presidente di Acciaierie d’Italia (la holding attualmente detenuta al 38% da Invitalia e al 62% dal colosso dell’acciaio che cinque anni ha acquisito l’Ilva) Franco Bernabè, nominato dal socio pubblico di minoranza. I sindacati sono sul piede di guerra: lo scorso 27 settembre al Mimit hanno chiesto chiarezza sul futuro dell’acciaieria e in assenza di risposte continuano la protesta con una settimana di mobilitazione, iniziata ieri con assemblee e presidi davanti alle prefetture, che si concluderà venerdì con uno sciopero di 24 ore una manifestazione davanti a Palazzo Chigi. Fim, Fiom e Uilm parlano di una «situazione grave» in cui versano gli impianti e i lavoratori e chiedono di risolvere una volta per tutte la vertenza, garantendo produzione, occupazione e sicurezza e rilanciando la siderurgia italiana. Unnica strada percorribile per i metalmeccanici è un immediato cambio di govenance, con il passaggio della maggioranza in mano pubblica, fissato per l’aprile del 2024, ma di fatto accantonato dal governo, o in alternativa l’ingresso di altri soci privati. 

Da qui la richiesta di un maggior coinvolgimento nelle decisioni per evitare che si perda altro tempo prezioso. «La situazione è molto grave, per questo torniamo a scioperare dopo neanche un mese dall’ultima mobilitazione – spiega Roberto Benagliasegretario generale della Fim Cisl – Nessuno degli obiettivi per il 2023 che il governo aveva indicato nove mesi fa è stato raggiunto a partire dalla produzione che fa fatica ad arrivare ai tre milioni di tonnellate. Sono in funzione solo due altiforni, le aziende dell’indotto soffrono peri mancati pagamenti, la sicurezza degli impianti è messa a dura prova dalla mancanza di manutenzione e si fa un uso massiccio degli ammortizzatori sociali con 3600 lavoratori in cassa integrazione su un totale di 11mila, senza considerare i 1500 in amministrazione straordinaria che sono stati abbandonati da cinque anni». 

Nonostante i 680 milioni messi sul tavolo dal governo per rilanciare l’ex-Ilva la situazione non cambia e il futuro appare più che mai incerto. «Non facciamo catastrofismo, ma così non si può più andare avanti – continua Benaglia -. Al governo chiediamo di non fare trattative segrete con il socio privato ma di essere coinvolti. Leggiamo sui giornali ipotesi catastrofiche di liquidazione o amministrazione straordinaria della società chedovrebbero dire far morire gli stabilimenti e mandare in fumo ventimila posti di lavoro tra i dipendenti dell’ex Ilva e quelli dell’indotto».

ll nodo della questione secondo la Cisl è l’affidabilità di Arceror-Mittal che non dà risposte e si limita a prendere tempo e soldi pubblici. «Il governo deve forzare la mano e stanare il socio privato- sottolinea il segretario della Hm -. Stare fermi ci fa precipitare, serve un rilancio con un partner privato che garantisca la certezza degli investimenti. Il nostro è l’unico Paese in cui lo Stato mette i soldi, Mittal sta a guardare e la situazione peggiora. Certo non siamo noi che scegliamo gli interlocutor ima va trovata una situazione…». A preoccupare in particolare il passo indietro del governo che nell’ultimo incontro avrebbe escluso l’eventualità che lo Stato diventi azionista di maggioranza con il 60%. «Sino alla scorsa primavera il ministro Urso sosteneva che questo sarebbe avvenuto nell’aprile del 2024 ma nell’ultimo tavolo questa ipotesi non è stata nemmeno presa in considerazione – spiega Benaglia -. Ora governo deve scoprire le carte: vedere se Mittal c’è, e in alternativa cercare altre soluzioni. Nel 2023 si è raggiunto il minimo storico di produzione: con i Riva si producevano oltre 10 milioni di tonnellate, nel 2018 sei milioni, adesso si arriva a stento a tre milioni». Il piano industriale da 5,5 miliardi di investimenti, prevede l’avvio di forni elettrici tra 5- 6 anni ma anche interventi nel breve periodo per garantire la produzione che si è ridotta perla chiusura dell’Altoforno 5 ormai da anni e dell’Altoforno 1 da agosto. «Importare acciaio sarebbe un grande autogoal per natia. Acciaierie d’Italia ha già perso un’occasione nel 2021 quando tutte le aziende della siderurgia hanno avuto risultati eccezionali e la stessa Mittal ha prodotto molto di più negli altri stabilimenti che possiede in Europa – conclude Benaglia – Oggi si assiste ad un rallentamento globale della siderurgia che resta comunque uno dei pilastri dell’industria. L’Italia non può permettersi per incapacità politica di perdere un patrimonio come l’ex Ilva.