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ANNI ’90 – SCENARIO

L’ultimo decennio del XX secolo si apre su scenari di guerra. Si comincia con la “guerra del Golfo” nel gennaio 1999, si prosegue per tutto il decennio con le guerre civili nella ex Jugoslavia, ultima quella in Kossovo nel 1999 con l’intervento della Nato che bombarda la Serbia….leggi tutto lo scenario

ANNI ’90 – STORIA DELLA FIM

L’ETÀ DELLA CONCERTAZIONE

Malgrado le ripetute analisi sul declino del sindacalismo confederale, negli anni Novanta Cgil, Cisl e Uil, per quanto divise su molti punti, si affermano come protagoniste sulla scena sociale e politica, proprio nel momento in cui i partiti, sotto i colpi di Tangentopoli, si frantumano o riducono il loro peso e comunque sono costretti a non indolori revisioni ideologiche e organizzative. Non è che i sindacati confederali non abbiano problemi, specie nei settori più colpiti dalla disoccupazione che si riflette in una diminuzione di iscritti. E tuttavia restano di gran lunga le organizzazioni più rappresentative del mondo del lavoro dipendente. È importante, da questo punto di vista, l’intesa del 1° marzo 1991 tra Cgil, Cisl e Uil, che definisce le regole per le Rappresentanze sindacali unitarie (Rsu) nei luoghi di lavoro. I contenuti dell’intesa saranno ratificati dall’accordo del 23 luglio 1993. Cgil, Cisl e Uil certificano sul campo la loro rappresentatività: nelle elezioni delle Rsu prevalgono di gran lunga i candidati confederali. Forte di questo consenso, il sindacato si afferma come soggetto politico autonomo, capace di proporre e incidere positivamente sulle politiche sociali, attraverso un confronto con le rappresentanze degli imprenditori e con le istituzioni. È la pratica della concertazione, cioè del confronto e dello scambio tra i soggetti che, ciascuno secondo il proprio ruolo nella società, hanno titolo e legittimità per contribuire alle politiche economiche e sociali. Il punto più alto di questa strategia è raggiunto con l’accordo del 23 luglio 1993, preparato da un analogo accordo di un anno prima (luglio 1992). Con quell’accordo:

  • scompare la “scala mobile” e viene restituita alla contrattazione tra le parti sociali la politica salariale;
  • viene stabilizzata la struttura della contrattazione di categoria, articolata sui due livelli nazionale e aziendale:
  • viene varata la politica di tutti i redditi, per controllare consensualmente le dinamiche sia delle retribuzioni che dei prezzi;
  • vengono legittimate le Rsu, definite dall’intesa confederale del 1991, come soggetti contrattuali nei luoghi di lavoro;
  • si promuovono forme di partecipazione nelle aziende. Su questa base la concertazione si sviluppa per tutto il decennio, attraverso confronti e accordi, tra i quali va ricordato il Patto di Natale del 22 dicembre 1998, che contiene vantaggi sia per i lavoratori e le loro famiglie, sia per il sistema produttivo e promuove politiche di sviluppo, con particolare riferimento al Mezzogiorno. Un problema cruciale di questi anni è quello delle pensioni. Gli andamenti demografici, con l’invecchiamento progressivo della popolazione, prospettano un crollo del sistema pubblico di previdenza, già gravato da pesi indebiti e da una struttura irrazionale. Sulle pensioni, minacciate da un progetto di riforma drastico e iniquo del governo Berlusconi, Cgil, Cisl e Uil attuano una delle più forti mobilitazioni del dopoguerra che si conclude con la grande manifestazione a Roma dell’11 novembre 1994. Caduto il governo di destra all’inizio del 1995, i sindacati confederali sono comunque convinti che una profonda riforma è necessaria e passano dalla protesta alla proposta, raggiungendo un’intesa. La proposta di Cgil, Cisl e Uil viene sottoposta a referendum tra i lavoratori. I dissensi ci sono, soprattutto tra i metalmeccanici, per molti dei quali è più acuto il problema delle pensioni di anzianità destinate a essere “ritoccate”. La Fim è mobilitata in modo compatto per l’approvazione dell’intesa, alla quale però la maggioranza dei metalmeccanici dice di no. Tuttavia l’insieme dei lavoratori dice sì a larga maggioranza (65%). È così aperta la strada per l’approvazione in Parlamento della legge di riforma delle pensioni 335 dell’8 agosto 1995, i cui contenuti rispecchiano le proposte sindacali. Con la riforma si attua un graduale passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo, si comincia a mettere un po’ di ordine nella giungla delle pensioni, avviando anche una armonizzazione tra i vari sistemi, si gettano le prime basi per lo sviluppo di un sistema di previdenza complementare. Il risultato più importante è la salvaguardia del sistema previdenziale pubblico, oggetto di ripetuti attacchi anche a livello internazionale. È inoltre un successo di Cgil, Cisl e Uil, che sono riuscite ad affermare il loro ruolo decisivo attraverso un’azione propositiva.

Il sindacalismo confederale continua anche a marcare una forte presenza sul terreno civile, per la democrazia e l’unità del paese. Il 20 settembre 1997 un milione di lavoratori scende in piazza con Cgil, Cisl e Uil a Milano e Venezia a difesa dell’unità del paese per un federalismo solidale, contro i propositi secessionisti della Lega e per indicare un’alternativa alla chiusura egoistica che serpeggia nelle zone più ricche d’Italia. Un terreno prioritario della mobilitazione sindacale resta quello dell’occupazione. Il 20 giugno Cgil Cisl e Uil portano a Roma centinaia di migliaia di lavoratori, dando vita a una grande manifestazione nazionale “per l’occupazione, lo sviluppo e il Mezzogiorno”. Malgrado il grande ruolo giocato sul piano politico e i successi unitariamente conseguiti, verso la fine degli anni Novanta le vie di Cgil, Cisl e Uil vanno sempre più divaricandosi.

LA CISL E LA POLITICA

In questi anni la Cisl balza in primo piano sulla scena italiana, grazie anche al dinamismo del segretario generale Sergio D’Antoni, che la dirige per tutto il decennio, ma soprattutto per la capacità propositiva e la ricerca di soluzioni contrattuali innovative. In particolare la Cisl si riconosce nella politica di concertazione, che ha cominciato a teorizzare e promuovere fin dai primi anni Ottanta. Un problema che anima un profondo dibattito nella confederazione è quello del rapporto con la politica, che la Cisl comincia a porre in modo nuovo, mettendo “i piedi nel piatto”. Del tutto nuova, rispetto alla sua tradizione, è la decisione della Cisl nelle elezioni del 1996 di schierarsi apertamente a favore dell’Ulivo. Successivamente, anche per le vicende che hanno portato all’appannamento della proposta dell’Ulivo, la ricerca di interlocutori politici non trova sbocco, diventano sempre più difficili i rapporti con il governo di centro-sinistra. D’Antoni affaccia l’ipotesi di un’iniziativa autonoma sul terreno della politica, con l’idea di una fondazione come luogo di elaborazione, proposta e aggregazione a carattere “pre-politico”, vale a dire non ancora partitico ma aperto a soluzioni nuove e di più diretto intervento della Cisl in politica. Si accende la discussione nella Cisl, e la Fim vi partecipa consentendo sulla necessità di innovare il rapporto con la politica, sulla base dei contenuti e non degli schieramenti, ma salvaguardando con rigore l’autonomia dell’organizzazione e la libertà di scelta dei dirigenti e degli iscritti della Cisl. Nel frattempo, dopo l’estate del 2000, D’Antoni passa ad altro impegno, cioè alla fondazione che aveva in progetto, e gli succede Savino Pezzotta.

LA CONTRATTAZIONE DI CATEGORIA

La strada per i contratti di categoria è tracciata dall’accordo del luglio 1993. Prima di quella data, c’è il contratto del 1990: una vertenza difficile, protrattasi per otto mesi con 100 ore di scioperi e finita sul tavolo del ministro del lavoro Donat Cattin. La firma dell’ipotesi di accordo avviene all’alba del 14 dicembre su salario e orario e il 20 sulle parti normative. Non ci sono grandi risultati, ma la conclusione è considerata positiva, data la difficile situazione economica (tra l’altro, 16 ore di riduzione dell’orario in due tappe, aumenti non troppo distanti dalle richieste). Tra le novità, la vigenza contrattuale passa da tre a quattro anni, per due anni c’è l’impegno a sospendere la contrattazione integrativa aziendale. Però c’è insoddisfazione, e da più parti avanza la richiesta di referendum. Sarebbe una sconfessione del negoziato; Fim e Uilm non cedono, ma la Fiom è spaccata e non è pronta alla ratifica finale. Alla fine, anche la Fiom si decide e la ratifica definitiva avviene il 17 gennaio 1991. Dopo il luglio 1993, la strada verso il contratto appare meno impervia. Si giunge così al contratto del 1994, firmato il 5 luglio senza un’ora di sciopero. Non è la sola novità. Viene interamente ridisegnato il sistema di relazioni industriali; nella nuova premessa, che sostituisce quella “storica” invariata dal 1962, viene esplicitamente assunto il metodo della partecipazione e si riconosce la funzione contrattuale in azienda delle strutture sindacali territoriali insieme alle Rsu. Sull’orario è importante non tanto l’aspetto quantitativo (sono consolidate le 39 ore settimanali), quanto il modo con cui viene trattata la materia, attraverso una flessibilizzazione contrattata. Ancora, un punto innovativo importante è l’impegno a realizzare un sistema di previdenza complementare. Nel complesso, questo contratto viene considerato come la prova che è possibile un rapporto costruttivo e innovativo fra le parti sociali. Quello del 1994 è il contratto che inaugura, per i metalmeccanici, il modello definito nel luglio 1993. Da lì a due anni, infatti, è la volta del primo rinnovo per la parte salariale. Ma spira di nuovo aria di burrasca. Ci vorrà un anno, dalla presentazione della piattaforma alla firma, avvenuta il 4 febbraio 1997. Le ragioni sono molteplici: da un lato le resistenze degli imprenditori, tesi tra l’altro ad “assorbire”, in pratica a bloccare la contrattazione aziendale; dall’altra le nuove condizioni economiche e politiche, dovute al rapido ridursi dell’inflazione e allo sforzo imposto al paese per entrare nell’Euro. Quest’ultimo fatto, con il venir meno della possibilità di giocare sui cambi per “svalutazioni competitive”, ha tolto alle imprese italiane un tradizionale e troppo facile strumento per avvantaggiarsi sui mercati internazionali. Comunque, la conclusione rispetta le priorità che alla vigilia della stretta finale la Fim aveva indicato come irrinunciabili: un aumento salariale sufficiente a mantenere il potere d’acquisto; il mantenimento dell’assetto contrattuale con i due livelli, quindi salvaguardia della contrattazione aziendale; l’introduzione di un fondo di previdenza complementare nel settore industriale metalmeccanico. Quest’ultimo è il risultato più innovativo, al quale la Fim ha lavorato più di tutti, superando storiche diffidenze. Il 18 febbraio successivo alla firma del contratto è varato l’accordo con Federmeccanica, sulla cui base si costituisce il Fondo Cometa, che otterrà un rapido successo tra i lavoratori metalmeccanici (circa 330.000 aderenti, distribuiti in quasi 10.200 aziende, a ottobre 2000). Successivamente nascono anche Fondapi (per le piccole imprese affiliate a Confapi) e Artifond (artigiani). Anche il rinnovo del contratto nazionale firmato l’8 giugno 1999 viene raggiunto dopo una lunga fase conflittuale che culmina nella manifestazione nazionale a Roma del 14 maggio. È una manifestazione nuova, caratterizzata soprattutto da una grande presenza di giovani: tra di essi è visibilissima e vivace la presenza dei Giovani Fim. Nei primi commenti, la Fim sottolinea alcuni aspetti innovativi di questo contratto, definito “il primo contratto della nuova generazione”. Più che gli aspetti di redistribuzione del reddito, esso tocca le regole e i diritti personali dei lavoratori. In particolare sulla gestione del tempo, che da ora può essere più “personalizzata”, soprattutto con l’introduzione della “banca delle ore”. Tra i diritti conquistati alcuni hanno un valore di “civiltà”, come le aspettative per ragioni di studio, familiari, di impegno nel volontariato. Quest’ultimo aspetto, insieme ad altri (su diritto allo studio, lavoro interinale, tempo determinato) rappresenta un risposta positiva a richieste sulle quali in particolare si erano impegnati i giovani. Viene inoltre arricchito il capitolo partecipazione, con la costruzione di un sistema di osservatori nazionali e regionali e di commissioni paritetiche, con la formazione in primo piano. Sui nuovi diritti in materia di gestione del tempo di lavoro la Fim, che vi riconosce la realizzazione di un proprio “storico” punto programmatico, sviluppa una campagna informativa di massa, diffondendo sul tema uno strumento conoscitivo per tutti i suoi iscritti. Un capitolo importante per la contrattazione nel settore è quello delle grandi ristrutturazioni, la più ampia delle quali è sicuramente quella che tocca il settore siderurgico, in gran parte pubblico (prima Italsider, poi Ilva), cronicamente affetto da sovracapacità produttiva. Con l’accordo del 12 marzo 1994 si avvia un processo di scorporo, privatizzazione, ristrutturazione. I costi sono alti: innanzitutto per l’occupazione, che viene drasticamente ridotta (gli stabilimenti si ridimensionano, alcuni – coma Bagnoli – chiudono); ma anche per le casse dello stato, per finanziare soluzioni socialmente accettabili per i lavoratori eccedenti.

Malgrado i continui attacchi da parte di Federmeccanica, la contrattazione aziendale ha un ampio sviluppo negli anni Novanta, con contenuti fortemente innovativi. È il periodo nel quale si diffonde ovunque il metodo partecipativo. I casi più noti sono quelli della Fiat e della Zanussi. Alla Fiat una serie di accordi, dei quali il più importante è quello del 18 marzo 1996, si costruisce un sistema di partecipazione a livello di gruppo, di settori produttivi (auto, Iveco, eccetera) e di stabilimento. Il nuovo stabilimento di Melfi, in Basilicata, è oggetto di accordi peculiari: quello “preventivo” del 1990 (scambio tra investimento al Sud e flessibilità nell’utilizzo impianti) e l’accordo sindacale costitutivo dell’11 giugno 1993 che definisce un sistema partecipativo compiuto e peculiare per questo stabilimento, con alcuni connotati decisionali (formazione, trasporti, conciliazione). La Fim sviluppa in questo contesto azioni di sensibilizzazione e proselitismo che hanno successo, in particolare a Melfi, dove è primo sindacato per iscritti e rappresentanza. Alla Zanussi – poi Electrolux Zanussi dopo l’acquisizione da parte del gruppo svedese – si attua un sistema partecipativo considerato come il “modello” per la sua completezza e anche per la convinzione con cui l’azienda si è misurata su questo terreno. È una storia ormai più che decennale di accordi, culminati nel “Testo unico” del luglio 1997, che dà una quadratura “istituzionale” al sistema di relazioni industriali in Zanussi, introducendo tra l’altro il Consiglio di sorveglianza, che apre nuovi spazi per la conoscenza delle strategie aziendali.

Ma non tutto è liscio. Proprio alla Zanussi la conflittualità resta elevata, si è persino arrivati nell’autunno del 1996 a una “sospensione” del sistema partecipativo. Alla fine del 2000 la Fiat è l’unico dei grandi gruppi a non avere ancora rinnovato il contratto integrativo. Insomma, la partecipazione non si presenta come una soluzione semplice, ma come una sfida difficile, che richiede continui approfondimenti e messe a punto. E che non elimina certo il conflitto, comunque fisiologico nei rapporti di lavoro in una società libera e democratica. Le difficoltà sono anche nel sindacato e tra i lavoratori. Sia alla Fiat che alla Zanussi in due casi si è passati in un primo momento attraverso accordi separati con Fim e Uilm, mentre la Fiom aderiva solo successivamente. Alla Zanussi la maggioranza dei lavoratori ha respinto l’ipotesi di accordo aziendale raggiunto nel giugno 2000. La Fim, che aveva sostenuto quell’ipotesi, decideva di attuare un sondaggio tra i propri iscritti, per conoscere le ragioni dei lavoratori. L’accordo, modificato in alcune sue parti, è stato poi approvato alla fine di novembre. Abbiamo citato i casi più emblematici, ma ormai il metodo partecipativo è pratica consolidata nelle relazioni tra sindacati e aziende, e ciò emerge nella intensa stagione di rinnovi dei contratti integrativi aziendali nel corso del 2000. Un aspetto particolare, che acquista rilevanza proprio negli anni Novanta, è il crescente peso e ruolo delle donne nel lavoro metalmeccanico. Tra gli strumenti partecipativi, a livello sia nazionale che aziendale, un posto di rilievo hanno le commissioni sulle pari opportunità, che consentono alle donne di far valere le loro peculiari esigenze, a cominciare da quelle del rispetto della loro dignità e della promozione paritaria delle loro chances professionali. Va ricordato che in questo decennio si sono moltiplicati gli strumenti legislativi in grado di supportare questo impegno delle donne nel sindacato: a cominciare dalla “storica” legge 125 del 1991 (“Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro”), passando per la legge 215 del 1992 (“Azioni positive per l’imprenditoria femminile”) e giungendo alla più recente legge 53 del 2000 sui congedi parentali (tanto per nominare i provvedimenti più importanti). Non bisogna trascurare un settore, quello dell’artigianato, troppo spesso relegato in secondo piano, ma nel quale si concentra molta occupazione metalmeccanica. In questo settore il decennio 1990-2000 è molto importante soprattutto per le relazioni industriali: viene costruito un modello con il quale è possibile guardare a tutto il mondo delle piccole e piccolissime imprese, non solo all’artigianato. In tutte le regioni e a livello nazionale si afferma il sistema degli enti bilaterali, che rappresentano ormai una realtà considerevole dal punto di vista economico e sociale, con prestazioni annue che superano i 100 miliardi. Si sperimenta un sistema contrattuale originale su due livelli, nazionale e regionale, di categoria e confederale. La contrattazione regionale diventa un sistema che, pur incontrando difficoltà, costituisce un punto di riferimento importante per disegnare le relazioni sindacali del futuro in tutti i settori.

LA FIM VERSO IL 2000

Passate le bufere degli anni Ottanta, la Fim non è più sulla difensiva e si dedica ad affrontare con spirito innovativo i nuovi problemi del mondo del lavoro e del sindacato. Ora è anche più libera da un grave problema che ne aveva tormentato la vita interna per tutto il decennio precedente e che riguardava una delle strutture più importanti, la Fim di Milano. La Fim milanese, guidata da Piergiorgio Tiboni, si era andata progressivamente isolando dal resto dell’organizzazione, conducendo una politica autonoma che era giunta ben oltre i limiti di un corretto dissenso democratico, fino a contrastare pubblicamente le decisioni assunte dell’insieme della Fim e addirittura a ricorrere alla magistratura contro accordi stipulati dall’organizzazione. In più, la struttura versava in un dissesto finanziario che aveva assunto dimensioni abnormi. Si giunge così alla decisione di mandare a Milano come commissario Salvatore Biondo, della segreteria nazionale, che riannoda i fili con l’insieme degli iscritti e porta alla celebrazione di un congresso straordinario nell’ottobre 1991. La lista appoggiata dalla Fim nazionale, con una maggioranza dei due terzi, ha la meglio su una seconda lista presentata da alcuni dirigenti dell’organizzazione che, pur in dissenso con Tiboni, hanno assunto una posizione contraria al commissariamento. Sostenuta da questo consenso democraticamente verificato, il rinnovato gruppo dirigente può ricostruire “il corpo e l’anima” della Fim milanese e procedere al risanamento finanziario. Nel frattempo Tiboni con alcuni seguaci ha abbandonato la Fim e dato vita a un piccolo sindacato autonomo.

Giungiamo al tredicesimo congresso, che si tiene a Bormio dal 31 maggio al 4 giugno 1993. Lo slogan riflette la priorità sindacale di quel periodo, l’occupazione, e nello stesso tempo la partecipazione al travaglio civile e politico che l’Italia attraversa dopo il terremoto di Tangentopoli: “L’Italia è una Repubblica: rifondiamola sul lavoro”. Il messaggio centrale è che il rinnovamento del paese non può avvenire se non nella valorizzazione del lavoro come perno della cittadinanza. Attorno a questo messaggio si articolano i temi più strettamente economici e sindacali. In particolare la Fim manifesta preoccupazione e attenzione per il problema del deficit pubblico, che tocca da vicino i lavoratori e il sindacato, e per quello dello stato sociale, oggetto di continui attacchi ma comunque bisognoso di una profonda riforma. Il quattordicesimo congresso si tiene a Genova dal 12 al 15 maggio 1997. Lo slogan afferma: “il futuro è opportunità”. È un’affermazione ottimistica, di un’organizzazione che non si rassegna a lamentare la durezza dei tempi ma vuole individuare le opportunità di promozione sociale e umana dei lavoratori in un mondo in rapida trasformazione. La Fim si proietta verso il Duemila, ponendo al centro della sua attenzione l’evoluzione del mercato del lavoro e la necessità di rappresentarne le nuove diversità (“i lavori”). È in questa prospettiva che la Fim fa anche un bilancio delle proprie politiche: gli sviluppi della partecipazione, l’affermarsi della previdenza complementare, i problemi della ripartizione del lavoro e degli orari, le forme della rappresentanza e della democrazia sindacale. Nel congresso di Genova c’è anche il cambio della guardia al vertice della Fim: a Gianni Italia, che andrà a dirigere l’Iscos, l’Istituto della Cisl per la cooperazione internazionale, succede Pier Paolo Baretta, che rimarrà solo fino alla fine del 1998, quando viene chiamato a far parte della segreteria confederale nazionale della Cisl. L’8 febbaio 1999 il Consiglio generale della Fim elegge come nuovo segretario generale Giorgio Caprioli. Al di là delle scadenze congressuali e organizzative, la Fim sviluppa numerose iniziative culturali e seminariali sia al centro che in periferia. Di particolare rilievo è il seminario tenuto a Milano il 23 febbraio 1993, nel quale la Fim affronta con giuristi ed esperti di diverso orientamento il tema della rappresentanza e della democrazia sindacale, avanzando anche proprie proposte che aprono alla possibilità di un intervento legislativo di sostegno, e non sostitutivo, in questa materia. Dal seminario esce un libro delle Edizioni Lavoro, Le regole del rappresentare.

GLI SVILUPPI ORGANIZZATIVI E LA FORMAZIONE

Nel corso del decennio si svolgono tre importanti assemblee organizzative, ottava nona e decima (Chia Laguna in Sardegna, 28-31 ottobre 1991; Assisi, 3-5 luglio 1995; Rimini, 22-23 aprile 1999). Si attua una vasta riorganizzazione del lavoro sindacale, con il collaudo delle “macroregioni” e un ampio decentramento di responsabilità, specie nella politica contrattuale nei grandi gruppi e nella formazione. A Rimini è posto l’accento anche sulla necessità di ridefinire la figura del sindacalista come “agente di sviluppo” nel proprio territorio, specie nel Mezzogiorno.

Di particolare rilievo, sul piano organizzativo, è la crescita dei Giovani Fim. Nel 1994 la Federazione nazionale decide di tentare un intervento strutturato sui giovani, che approda alla creazione di uno spazio politico organizzativo specifico. Viene svolto un lavoro di formazione su vasta scala, al quale partecipano dal 1994 al 2000 più di 700 giovani, raccolti attraverso consulte nazionali e territoriali . Dall’esigenza di lavorare “a rete” è nato nel 1995 il sito web NGM, Network Giovani Metalmeccanici. In ogni provincia è attivo un Coordinamento giovani, nel quale essi si incontrano, discutono, mettono in comune le proprie esperienze perché siano rappresentate dalla Fim nelle proprie scelte politiche e sindacali. Ai giovani la Fim offre numerose opportunità di formazione, dall’azienda fino al campo giovani nazionale che si svolge ogni anno. I giovani della Fim danno battaglia anche sul piano delle politiche contrattuali, per far entrare nelle piattaforme i contenuti che li interessano più da vicino, come nel contratto nazionale del 1999 (riduzione dell’anzianità per le aspettative, il diritto alla formazione e allo studio, permessi per il volontariato, riduzione della precarietà nei contratti a termine) e nella contrattazione aziendale. Grazie a questo lavoro, sono cresciute le adesioni alla Fim e si è avuto un ringiovanimento sia degli iscritti che degli operatori sindacali.

Nella seconda metà degli anni Novanta la formazione, che aveva vissuto una fase di stanchezza, si rianima, all’insegna anche di un ampio decentramento, con la creazione di responsabili a livello macroregionale, regionale e territoriale; ciò rilancia il ruolo della commissione nazionale per la formazione. Tra le iniziative di maggior rilievo, va menzionato innanzitutto nel 1997 un corso per dirigenti anticipatore degli eventi, dedicato ai riflessi dell’entrata nell’Euro sulle politiche sindacali. Progettato nel 1998, iniziato nel 1999 e da concludersi nel 2001 è un corso di ampio respiro che impegna seicento dirigenti (trecento del Sud). Tra il 1999 e il 2000 è tornato dopo dieci anni di assenza il corso per formatori, dal quale sono usciti undici formatori territoriali, di cui dieci del Sud.

L’IMPEGNO INTERNAZIONALE

Prosegue la politica unitaria di Fim, Fiom e Uilm con due ordini di problemi che dominano l’orizzonte: l’avvento dell’Unione europea e dell’Euro, i processi di mondializzazione. Una novità, con risvolti molto concreti sul piano sindacale, è lo sviluppo dei Comitati aziendali europei (Cae), in attuazione di una direttiva europea, che consentono un intervento più specifico dei sindacati nelle imprese transnazionali di una certa dimensione. La Fim vi dedica particolare impegno, organizzando anche periodiche conferenze nazionali dei propri militanti che fanno parte dei Cae. Entra in scena così una nuova figura di “sindacalista europeo”, che si incontra con i propri colleghi di altri paesi, si confronta con loro e insieme a loro comincia a praticare un sindacalismo “continentale”. Sempre a livello europeo, Fim Fiom e Uilm riescono ad affermare un emendamento nei programmi Fem (congresso del 1999) per l’avvio di un processo (chiamato “processo di Roma”, dal successivo seminario Fem tenutosi a Roma nel dicembre 1999) mirante alla costituzione di un vero sindacato europeo, al quale i sindacati nazionali dovrebbero cedere su determinati temi parte della loro sovranità. Così in ambito Fism, nell’affrontare i problemi della mondializzazione, i metalmeccanici italiani propongono la creazione di un libro bianco sui comportamenti scorretti delle multinazionali; la proposta è fatta propria dalla Fism nel Comitato centrale del giugno 2000. Oltre alla politica internazionale unitaria, la Fim prosegue nei suoi rapporti bilaterali, in particolare con i metalmeccanici brasiliani della Cut. Nel novembre 1999, a Belo Horizonte, la Fim partecipa alla prima conferenza sulla politica di formazione della Cut, e ha tutti i titoli per esserci, avendo promosso insieme all’Iscos fin dal 1987 la scuola sindacale “7 de Outubro”. Negli stessi giorni, e proprio in questa scuola, si svolge il seminario conclusivo di un progetto europeo di cooperazione iniziato nel 1997, promosso e gestito ancora una volta dalla Fim e dall’Iscos. Durante la crisi del Kosovo, la Fim ha allacciato rapporti con il sindacato autonomo serbo Nezavisnost e con quello kossovaro Spmk, riuscendo a stabilire tra di essi un canale di comunicazione e relazioni di amicizia e collaborazione.

 

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