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Bentivogli: rinnovo contrattuale, no alle brutte copie della Germania – da l’Unità

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Rinnovo contrattuale, no alle brutte copie della Germania

di Marco Bentivogli  ( pubblicato su l’Unità del 22 settembre 2015)

La proposta di rinnovo contrattuale annuale sul salario e triennale sulle normative ha poco a che vedere con il modello tedesco e molto con l’ignoranaza delle differenze rispetto al nostro sistema.

Innazitutto non c’è in Germania un contratto nazionale di categoria. Una funzione paragonabile è ricoperta dal “Contratto d’area” (Flächetarifvertrag). Quando si apre una vertenza contrattuale di categoria, si sceglie un Distretto (Bezirk) sindacale “pilota”, grosso modo corrispondente a un Land (Stato-Regione) e di solito quello più significativo per la categoria. Una volta raggiunto l’accordo nel “Distretto pilota”, i suoi risultati, salvo marginali modifiche, vengono estesi agli altri Distretti. Il “Contratto d’area” si applica soltanto alle aziende affiliate all’associazione datoriale contraente, il Gesamtmetall (la Federmeccanica tedesca).

Il periodo di vigenza del contratto non è fisso, è molto flessibile. Ultimamente il contratto del settore metalmeccanico prevede una durata annuale per adattarsi alle difficoltà della crisi e ai momenti successivi di risalita.

La Germania non è poi quel paradiso della contrattazione che alcuni sognano. La copertura dei contratti collettivi in Germania si è notevolmente ridotta negli ultimi anni: raggiungeva l’80% dei lavoratori prima del 1990, nel 2010 era scesa al 60%, oggi si attesta attorno al 45% nei Länder dell’Ovest e al 40% in quelli dell’Est. In Italia la contrattazione collettiva interessa l’85% dei lavoratori.

In Germania i contratti collettivi valgono per i soli iscritti al sindacato di categoria contraente, i quali sono gli unici titolati a partecipare al voto sugli accordi e sugli scioperi.

Dal 2004 in Germania (accordo di Pforzheim) sono previste possibilità di deroga al “Contratto di area”, inizialmente solo per crisi aziendali; successivamente la casistica si è allargata. Anche in Italia il contratto sottoscritto da Fim e Uilm del 2009 prevede la possibilità di deroga in situazioni di crisi o a fronte di piani d’investimenti finalizzati alla tutela dell’occupazione.

Una scelta di buon senso fu fatta da Cgil-Cisl-Uil nel 2014 col “Testo Unico” su rappresentanza e contrattazione, che tuttavia fornì alla Fiom l’occasione di creare un casus belli con il rifiuto di firmare il contratto. La Fiom ci accusò di aver cancellato il Contratto nazionale: accusa tanto roboante quanto infondata, soprattutto se si pretende di citare ad esempio la Germania, dove deroghe e “patti aziendali per l’occupazione” consentono anche interventi sul salario, contrariamente a quanto previsto dal Contratto nazionale firmato da Fim e Uilm.

Il nostro contratto, a differenza di quello tedesco, si applica alla generalità dei lavoratori metalmeccanici (1.700.000 circa, ad esclusione dei Gruppi Fca e Cnhi), iscritti e non; gli aumenti salariali, data l’eterogeneità delle aziende interessate, hanno il solo obiettivo di recuperare l’inflazione.

La perdita di ruolo del “Contratto d’area” tedesco non è stata compensato da un incremento della contrattazione di secondo livello; applicando il modello tedesco in Italia, si finirebbe con l’indebolire il contratto nazionale, condannando a morte nel contempo la contrattazione aziendale.

Negli ultimi dieci anni la contrattazione collettiva in Germania ha lasciato scoperto un settore ampio di lavoratori, tanto che il sindacato tedesco ha inizialmente sostenuto e negoziato l’introduzione del salario minimo legale. Il salario minimo vale 8,5€ lordi l’ora, ma molte aree non sono coperte da questa soglia, il che ha provocato una dura reazione del sindacato. La paga oraria dei metalmeccanici tedeschi è mediamente molto più alta di questa soglia.

In Italia un metalmeccanico al 2°livello guadagna 8,28€ l’ora e 9,18 al 3°, per cui la paga base dei contratti nazionali diventerebbe ad ogni rinnovo il salario minimo legale. I sostenitori di tale istituto in Italia pensano a cifre molto più basse per il lavoro non coperto da contrattazione collettiva, attorno ai 4€, per cui il salario minimo legale in questa impostazione rischia di demolire i contratti nazionali.

Se si vuole trarre qualche lezione utile dalla Germania, andrebbe invece importato il modello di relazioni industriali della partecipazione, incrociandolo con le migliori pratiche contrattuali italiane. Infatti, più che le riforme del mercato del lavoro del governo Schröder, è stata la partecipazione dei lavoratori a favorire la difesa e poi il rilancio del sistema industriale tedesco, dell’occupazione e i dei salari.

La Fim e la Cisl sostengono da tempo questa proposta, rilanciata lo scorso 21 luglio: un nuovo modello contrattuale con un contratto nazionale essenzialmente mirato alla difesa del potere d’acquisto dei salari; se continuiamo a caricarlo di altro dobbiamo onestamente rinunciare alla diffusione della contrattazione di secondo livello, aziendale e/o territoriale. È su questo terreno, della contrattazione di secondo livello, che il sindacato ha l’opportunità di rientrare da protagonista nella gestione dell’organizzazione del lavoro, nel confronto sugli investimenti e nella sfida della produttività.

Altra lezione da cogliere dalla Germania: il Dgb, la Confederazione tedesca dei sindacati, ha avviato una revisione organizzativa che ha portato alla fusione di diverse federazioni sindacali che si sono dimezzate: da 17 a 8. Anche la Cisl dal 2013 ha avviato lo stesso percorso. Abbiamo 80 contratti nel solo settore industriale, 708 totali. La proliferazione delle sigle sindacali e dei contratti è uno dei fattori di maggiore debolezza nelle relazioni industriali italiane. Ci sono strumenti nuovi, altri da importare oltre quelli già presenti nel nostro paese e di cui basterebbe recuperare il senso originario. Di revival o di brutte copie si muore, mettersi in discussione è il primo passo.

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