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ANNI ’80 – SCENARIO

Sono gli anni che celebrano il trionfo del libero mercato, il prevalere nelle politiche economiche del liberalismo “selvaggio”, che ha i suoi massimi campioni nei governi di Ronald Reagan (eletto presidente nel 1981) negli Stati Uniti e della signora Thatcher in Gran Bretagna. …leggi tutto lo scenario

ANNI ’80 – STORIA DELLA FIM

LE POLITICHE SINDACALI

Per la Cisl due sono i problemi prioritari agli inizi degli anni Ottanta: l’occupazione e l’inflazione. La Fim è profondamente identificata con la linea della confederazione:

  • per l’occupazione, la Cisl propone la riduzione dell’orario di lavoro e la costituzione del “Fondo di solidarietà” (quest’ultimo fatto proprio nel luglio 1980 dalla federazione unitaria, ma fortemente osteggiato dal Pci e dai suoi militanti iscritti alla Cgil);
  • contro l’inflazione la Cisl propone (ipotesi Tarantelli, aprile 1981, poi ratificata dal congresso confederale dell’ottobre successivo) la predeterminazione e il rallentamento della contingenza;
  • la Cisl parla inoltre di “nuove frontiere della solidarietà e dell’uguaglianza” – i senza lavoro, gli

emarginatì, le famiglie monoreddito, lo stato sociale – e propone una coerente politica di tutti i redditi. Il 22 gennaio 1983, dopo un grande travaglio nella federazione unitaria per le difficoltà della componente comunista, si arriva a un accordo generale mediato dal ministro del lavoro Scotti: viene alleggerita la contingenza, si dà via libera ai contratti, c’è una sia pur limitata riduzione dell’orario di lavoro, si abbozza una riforma del mercato del lavoro, c’è l’impegno a misure dì sostegno all’occupazione. È l’inizio della politica di concertazione, sostenuta soprattutto dalla Cisl. Ma il Pci, che è all’opposizione, la osteggia radicalmente e fa pesare questa posizione dentro la Cgil. Tant’è vero che alle trattative per la verifica dell’accordo di gennaio, svoltesi a cavallo tra il 1983 e il 1984, pur essendo stato redatto unitariamente un protocollo di intesa, la componente comunista della Cgil provoca una situazione di stallo del negoziato. Il maggiore punto di dissenso, che acquisterà carattere simbolico, è identificato nel taglio di quattro punti di scala mobile; in realtà il contrasto è più generale, è politico, e ha radici nell’opposizione comunista al governo Craxi (entrato in carica nell’estate 1983). Lo scarto tra i contenuti dell’accordo (lotta all’inflazione, politica dei redditi, misure per l’occupazione) e l’opposizione politica è tale che per un sindacato autonomo come la Cisl si impone la scelta a favore dei contenuti, peraltro già definiti unitariamente. Per questo la Cisl, insieme alla Uil e alla componente socialista della Cgil, si dichiara favorevole a un decreto che rende operanti quei contenuti, sui quali c’è il consenso della maggioranza del sindacato. È il 14 febbraio 1984: un tornante nella storia recente del sindacalismo italiano (passato alla storia come “notte di san Valentino”). Il Pci e la sua componente nella Cgil promuovono un referendum per recuperare i quattro punti di scala mobile. È guerra aperta nel sindacato e nella sinistra. La componente comunista della Cgil arriverà a organizzare da sola una maximanifestazione nazionale a Roma (marzo 1984), di grande impatto emotivo (il TG3 – allora chiamato “Telekabul” – la trasmette in diretta) ma di scarso risultato politico. La Fim è attestata con la Cisl in difesa dell’accordo sulla trincea più difficile, quella dei metalmeccanici, dove più aspra è l’opposizione e più frequente l’esposizione a episodi di intolleranza. Intanto l’inflazione scende, i redditi dei lavoratori risultano maggiormente tutelati in termini reali. Il referendum, che si svolge il 9 e 10 giugno 1985, è una secca sconfitta per il Pci e per la sua linea intransigente (il “no” all’abolizione dell’accordo ottiene il 54,3% dei voti).

CONTRATTAZIONE IN CRISI

Nel mondo dei metalmeccanici, agli inizi degli anni Ottanta c’è il caso Fiat. Ai massicci interventi di cassa integrazione e di licenziamento annunciati nell’estate il sindacato risponde con la lotta frontale. Qualcuno parla persino di occupazione della Fiat. Scendono in piazza anche alcune migliaia di “capi” contro il sindacato (14 ottobre 1980, la celebre “marcia dei quarantamila”, che poi erano molti di meno). La lotta frontale non regge. L’accordo, raggiunto all’alba del 15 ottobre, incontra dure contestazioni tra i lavoratori ma viene approvato a maggioranza. Si apre un vasto dibattito dentro il sindacato, sui propri errori e ritardi nell’affrontare i processi di ristrutturazione. Entrano in crisi le relazioni industriali alla Fiat e in gran parte dell’industria privata. Tuttavia il ripensamento del sindacato dà anche i suoi frutti, poco alla volta si riprende a trattare anche dentro la Fiat: l’accordo dell’ottobre 1983 sul rientro dei cassintegrati e le misure di ricollocazione o di esodo incentivato per chi non rientra, segna una ripresa del dialogo, per quanto difficile.

Per restare alla Fiat, è del 1986 l’acquisizione dell’Alfa Romeo: in pratica, la Fiat diventa l’unico produttore nazionale del settore auto. È anche il primo grande passo dell’uscita dello stato dalla gestione diretta della produzione. È un passaggio che pone parecchi problemi al sindacato, e non sono poche le opposizioni a questo processo. Tuttavia la Fim, fedele al suo “stile”, tenta di vedere realisticamente insieme ai problemi (soprattutto occupazionali) anche le opportunità e i lati positivi di un processo peraltro irreversibile, dentro al quale si tratta di ricostruire un nuovo tessuto di relazioni sindacali. In grave difficoltà appare anche la contrattazione nazionale. Significativa è la vicenda del contratto del 1983. Malgrado l’accordo interconfederale del gennaio 1983, che avrebbe dovuto spianare la strada ai contratti, la Federmeccanica gioca la carta dell’intransigenza (Intersind e Confapi hanno già firmato). Finalmente, ai primi di settembre del 1983, anche il contratto con i privati è firmato grazie alla mediazione del ministro del lavoro, dopo un lungo travaglio dentro la Flm (con la Fim inizialmente contraria a firmare, mentre Fiom e Uilm avevano già accettato la mediazione). Il punto più problematico era l’esiguità del risultato in tema di riduzione dell’orario, con concessioni eccessive – secondo la Fim – in materia di straordinari, mentre gli aumenti salariali risultavano sostanzialmente in linea con le richieste della piattaforma. Il contratto del 1987, firmato in gennaio, se non segna grandi novità, porta tuttavia un’ulteriore riduzione di orario di 16 ore annue: a giudizio della Fim, non è un grande risultato quantitativo, ma è positivo l’aspetto qualitativo: ora le riduzioni sono uguali per tutti, certe (cioè “godibili”) e “pulite” (cioè senza contropartite). Nel commentare l’esito della vicenda la Fim individua con lungimiranza due temi destinati a porsi al centro delle politiche sindacali: la futura contrattazione aziendale non potrà più essere una rivalsa per recuperare i “buchi” del contratto nazionale, ma andrà preparata con grande rigore e attenzione alle esigenze vere dei lavoratori; la flessibilità sarà un tema dominante e il sindacato dovrà essere capace di governarne le forme, gli effetti, le ragioni di scambio. Appunto, “governare”: ormai sono emerse alla luce del sole diverse concezioni della contrattazione, tra loro irriducibili. Si è a una svolta e la Fim preme per realizzarla celermente, superando un’idea esclusivamente conflittuale della contrattazione per maturare un’impostazione più tesa a gestire i cambiamenti nell’interesse dei lavoratori. È così che entra in scena il tema della partecipazione, un’idea strategica che la Fim condivide con la Cisl e sulla quale scommette la propria rinnovata identità, scontrandosi continuamente con opposizioni e resistenze presenti soprattutto nella Fiom. Non è solo una battaglia culturale: già verso la fine degli anni Ottanta si profilano accordi aziendali nei quali si sperimentano nuovi strumenti definiti e gestiti in comune con le aziende per legare gli aumenti salariali agli andamenti aziendali. In questo senso vanno alcuni accordi stipulati tra il 1988 e il 1989: ad esempio in Fiat (con l’opposizione della Fiom che però ci ripensa e accetta i contenuti dell’accordo nel gennaio 1990: un caso destinato a ripetersi), poi in Olivetti, Italtel, Aeritalia, Ilva e infine in Zanussi, dove il sistema partecipativo raggiungerà un elevato livello di formalizzazione, anche se in un contesto problematico.

FINE DELLA FLM

La conclusione del rinnovo del contratto nazionale nell’estate 1983 segna una data importante: la fine, in pratica, della Flm. Fim, Fiom e Uilm per approvare la mediazione Scotti si riuniscono separatamente e con motivazioni separate accettano la mediazione. La rottura del 1984 sull’accordo “di San Valentino” fa il resto. Non poco peso hanno anche le intolleranze di cui i dirigenti e i militanti Fim sono stati bersaglio durante la battaglia per la difesa dell’accordo: sono venute meno le condizioni dell’unità, essendosi già rivelate difficili quelle di una “coesistenza pacifica”. Da allora la politica sindacale delle tre organizzazioni diviene sempre più separata. Si può dire che ciascuna riprende in mano la propria sovranità decisionale. L’unità possibile resta una unità d’azione, che si sostanzia soprattutto in piattaforme e accordi unitari (significativi sono i due referendum sulla piattaforma e sull’accordo per il contratto nazionale 1987, che esprimono largo consenso a Fim, Fiom e Uilm pur con estese aree di dissenso). Se resta l’unità d’azione, da verificare nei fatti, volta per volta, l’evoluzione in senso pluralistico è netta. I conflitti del 1984 non fanno che accelerare un processo inevitabile. A giudizio della Fim e della Cisl, la caduta di autonomia e il divaricarsi delle concezioni sindacali rendono inevitabile questo esito. Così la Flm cessa di esistere anche come sigla (salvo sul piano internazionale, ma anche qui ci sono difficoltà), si separano i bilanci, scompaiono le sedi unitarie. La sede nazionale viene divisa: dall’unità si passa alla coabitazione di tre organizzazioni sovrane in casa propria. Un punto molto delicato è quello delle rappresentanze sindacali aziendali. Anche qui la Fim preme sull’acceleratore per una ridefinizione, indicando una serie di criteri: elezioni per “aree” e non più per gruppi omogenei (anche perché l’organizzazione interna alla fabbrica va cambiando), garanzie di rappresentanza a tutte le componenti sindacali e sociali presenti in fabbrica, ruolo primario delle organizzazioni nel presentare i candidati. Ai primi del 1986 si arriva a definire un regolamento nazionale, che accoglie queste istanze, ma si rivela ben presto insufficiente. La definizione di regole di democrazia e di rapporti tra organizzazioni rimane così un problema aperto.

NEL SINDACATO INTERNAZIONALE

Malgrado la crisi dei rapporti unitari, nei primi anni Ottanta giunge a maturazione il processo di pieno inserimento dei tre sindacati metalmeccanici italiani, sotto la sigla Flm, nel sindacalismo democratico internazionale: l’adesione della Flm alla Fism, la Federazione internazionale dei sindacati metalmeccanici. Non è stato un processo né lineare né facile: la Cgil e la Fiom in passato erano state affiliate al sindacato internazionale di “obbedienza sovietica”, poi ne erano uscite, senza però accedere a nuove affiliazioni (la Cisl internazionale e la Fism erano ancora viste come un frutto della “guerra fredda”); c’erano molte resistenze interne da superare per entrare in una compagine sindacale internazionale una tempo considerata “serva del capitalismo”; ma c’era anche da vincere l’opposizione di importanti sindacati esteri che non vedevano di buon occhio l’entrata nella Fism di un’organizzazione con all’interno una forte componente comunista. L’obiettivo viene raggiunto nel 1981 grazie a un paziente lavoro “diplomatico”, che ha visto un forte impegno soprattutto della Fim; le resistenze nella Fiom vengono superate e la Flm entra così nella Fism. Questa scelta sarà oggetto di attacchi da settori del Partito comunista, anche dalle pagine dell’“Unità”. Ma è un evento di grande importanza, che segna l’abbattimento di una barriera politica e ideologica. La Fim comunque non rinuncia a proprie iniziative sul piano internazionale, sviluppando relazioni bilaterali con vari sindacati. Particolarmente intense sono quelle con i metalmeccanici francesi della Cfdt, con la tedesca IG Metall (specie sul tema della riduzione dell’orario di lavoro) e soprattutto con il sindacato metalmeccanico della Cut brasiliana. È con quest’ultimo sindacato che si sviluppa un’iniziativa di autentica solidarietà politica e sindacale, destinata a dare frutti assai concreti: l’organizzazione nel 1987 di una campagna di sottoscrizione, insieme all’Iscos Cisl, per finanziare la costruzione e l’avvio di una scuola sindacale dei metalmeccanici della Cut brasiliana (“Solidarietà non è una parola. Una scuola sindacale in Brasile è un fatto”: così lo slogan della campagna). Nell’ambito della sua azione internazionale la Fim è in prima linea nella partecipazione al grande movimento pacifista dei primi anni Ottanta, sviluppatosi con l’inasprirsi delle tensioni tra est e ovest in seguito all’installazione dei missili in Europa. La Fim non si limiterà a manifestare, ma cercherà di sviluppare contenuti propriamente sindacali, impegnandosi sul terreno della riconversione della produzioni belliche in produzioni civili.

L’EVOLUZIONE DELLA FIM

Gli anni Ottanta significano per la Fim un periodo di intensa revisione culturale e organizzativa. Fin dalla fine del 1979 si prende atto che il mondo del lavoro è cambiato, più articolato, privo di una centralità e richiede nuove strategie di rappresentanza (assemblea organizzativa di Vico Equense, dicembre 1979). Per sostenere la propria impostazione sindacale, la Fim si rende conto di dover irrobustire l’organizzazione e dotarla di una profonda e diffusa identità. Si è già accennato alla decisione di costituire un proprio autonomo centro di formazione, con la decisione del Consiglio generale dell’aprile 1979. La decisione è messa in pratica nel giro di nemmeno tre anni: agli inizi del 1982 comincia le sue attività il Romitorio di Amelia (vicino a Terni), dedicato a Daniele Serratoni, un dirigente della Fim lombarda morto giovanissimo nel 1979. L’inaugurazione ufficiale avviene il 29 ottobre 1982, con una festa e una originale e divertente tavola rotonda nel teatro di Amelia nella quale, guidati da Bruno Manghi, Beniamino Placido, Sergio Devecchi e Duccio Demetrio discutono sul “sindacalese”. Il Romitorio accoglierà maestri di altissimo profilo e di vario orientamento politico-culturale: ricordiamo innanzitutto gli indimenticabili Federico Caffè, Fausto Vicarelli, Guido Romagnoli, Ettore Santi, e poi Vittorio Foa, Gianfranco Pasquino, Gianni Mattioli… e tanti altri. Sempre nel 1982 la Fim comincia a pubblicare un proprio organo di stampa: “Lettera Fim”, dapprima come agile foglio destinato ai delegati e agli iscritti, divenuto poi agli inizi degli anni Novanta rivista di cultura sociale e sindacale. I problemi posti dalle ristrutturazioni e dalle innovazioni vengono affrontate dalla Fim con spirito pragmatico, vedendone anche le opportunità positive. Un sindacato, dice la Fim, non può essere solo conflittuale, deve darsi anche una cultura e strumenti di gestione dei cambiamenti. Il tema della gestione delle ristrutturazioni, superando una logica di pura contrapposizione, si era già affacciato nella relazione di Raffaele Morese a un Consiglio generale tenuto a Venezia nel dicembre 1980, giusto all’indomani della sconfitta alla Fiat. A guidare questa linea, proprio nel mezzo della crisi interna alla Flm nel corso della vertenza contrattuale del 1983, è chiamato Raffaele Morese, eletto in quei giorni segretario generale della Fim. Franco Bentivogli entra in segreteria confederale, per dirigere le politiche sociali della Cisl. In una serie di iniziative seminariali la Fim via via affronta i temi dell’accumulazione, dell’inflazione e della politica dei redditi, delle politiche industriali di fronte all’innovazione. L’attività di formazione alimenta questa “riconversione culturale”, sulla quale si innesterà l’elaborazione e, quindi, la pratica della partecipazione. Un punto programmatico della Fim resta la riduzione dell’orario di lavoro. Lanciata già al decimo congresso (Pesaro, 21-25 settembre 1981), la parola d’ordine delle 35 ore diventa il “leitmotiv” delle politiche contrattuali della Fim negli anni Ottanta. Con il convegno su questo tema dell’ottobre 1984, organizzato insieme alla IG Metall tedesca, si apre una campagna di massa che ha larga eco anche nell’opinione pubblica, sotto lo slogan “lavorare tutti, vivere meglio”. La margherita delle 35 ore, logo della campagna, si impone un po’ alla volta come nuovo simbolo della Fim. I conflitti del 1984-85 sulla scala mobile all’interno del sindacato sono una prova difficile per la Fim, che sulla frontiera della difesa dell’accordo di “San Valentino” ha messo in gioco la propria consistenza organizzativa, per affermare il principio dell’autonomia e della coerenza sindacale. Nell’immediato paga in termini di iscritti, ma consolida la propria identità e getta le basi per una ripresa delle adesioni. Nell’assemblea organizzativa di Brescia (maggio 1984) la Fim decide di costruire propri presidi nelle aziende (i collettivi di fabbrica), con responsabili sia per l’organizzazione, sia per i servizi agli iscritti; al tempo stesso devono essere accelerati i tempi per la ripresa del tesseramento di organizzazione. Le impostazioni di Brescia saranno poi riprese e sancite dall’undicesimo congresso (Sirmione, 19-21 giugno 1985). Viaggiando verso la fine degli anni Ottanta, la Fim esce finalmente dall’emergenza irrobustita organizzativamente, più attrezzata culturalmente, confermata dal tesseramento come organizzazione di massa. Lo constata l’assemblea organizzativa di Acireale (9-12 giugno 1987): la Fim può contare su un corpo di iscritti e attivisti fortemente motivati e convinti, non sospinti da pressioni di partito, “reclutati” nello spazio più difficile, quello della categoria dei metalmeccanici, dove più aspro era stato il conflitto tra le componenti sindacali e più pesantemente avevano inciso i processi di ristrutturazione, le espulsioni di manodopera, gli interventi della cassa integrazione. Di tutto ciò dà conto nella relazione al dodicesimo congresso (Roma, 30 maggio-2 giugno1989) il segretario generale Raffaele Morese, che di lì a poco (settembre 1989) andrà in segreteria confederale per essere sostituito alla guida della Fim da Gianni Italia. Il congresso ha un tema obbligato, annunciato dallo slogan: “Partecipazione, la scelta vincente”. Secondo la Fim questo è l’orizzonte strategico futuro per tutto il sindacato: partecipazione non solo come atteggiamento, ma come complesso di regole che presiedono a un sistema di relazioni nei quali i partner interloquiscono, scambiano, magari confliggono, senza confusione di ruoli, nel pieno rispetto della rispettiva autonomia e nella concomitante assunzione di responsabilità.