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Bentivogli: in Italia la cultura anti-industriale esiste – Il Mattino 23 luglio 2017

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 Sigilli alle aziende, un errore

Bentivogli ( Fim Cisl ) : in Italia la cultura anti-industriale esiste

di Nando Santonastaso

Il Mattino 23 luglio 2017

 

Non gli piacciono gli estremismi, sia quelli di natura ambientalista sia quelli di un vecchio e ormai superato modo di fare impresa.  Ma anche verso  il sindacato è stato spesso critico pur difendendo le ragioni del suo ruolo, nell’epoca di Industria 4.0 e dell’innovazione tecnologica (vi ha dedicato un bel libro edito da Castelvecchi). <<L’ Italia può e deve avere un industria ecosostenibile >> ripete Marco Bentivogli, segretario nazionale dei metalmeccanici della Cisl, in prima fila sul caso Ilva, anche a costo di andare controcorrente.

Il caso del petrolchimico di Siracusa, chiuso dalla magistratura, allarga ancora di più la ferita già profonda nell’industria del Mezzogiorno: è d’accordo?

<< Io credo che il pezzo più salato sia ancora una volta a carico di quelli che hanno già pagato troppo, e penso ai lavoratori. Io parlo per competenze del caso Ilva, perché è proprio qui che l’Italia ha confermato ancora una volta di essere campione nell’esaltazione delle contrapposizioni. In quasi tutto il mondo, l’occupazione e lo sviluppo industriale non sono contrapposti all’ambiente e la politica non si schiera a favore degli uni o dell’altro. A Taranto invece la politica ha fatto affari con l’ambientalismo più ottuso e l’industrialismo ottocentesco che considera l’inquinamento uno scotto da pagare e ha mantenuto rapporti non sani con chi inquinava. Ma il compito della politica è risolvere i problemi, o mi sbaglio?>>.

Ma cosa significa esattamente conciliare lavoro e ambiente?

<< Rispondo con un esempio: a Linz, in Austria, a pochi chilometri dall’Italia , i giovani amministratori locali avevano un problema simile a quello di Taranto. Gestire un’acciaieria a ciclo integrato come quella pugliese. Lì nessuno ha mai pensato che i politici potessero essere più industrialisti o più ambientalisti: sapevano bene , i cittadini di Linz che bisognava garantire un attività industriale ecosostenibile. E così è avvenuto con soluzioni tecnologiche. Da noi politica e media nutrono le contrapposizioni e a farne le spese sono tutti i soggetti coinvolti: i lavoratori, le aziende e l’ambiente>>.

Siracusa come Taranto e prima ancora Gela e Bagnoli: perché interviene la magistratura ?

<< La magistratura fa sempre bene a dare delle prescrizioni a cui le aziende devono attenersi. Ma i problemi bisogna risolverli prima dei sequestri perché poi tutto diventa più complicato e con tempi infiniti. È il caso dell’ ILVA di Taranto: il sequestro è avvenuto il 26 luglio 2012, il processo tra errori e peripezie giudiziarie si è aperto solo questa primavera. L’incertezza del diritto… Allora, è giusto dare regole severe per l’ecosostenibilità ma un’altra cosa è gettare lavoro e impresa del vortice dell’incertezza e dei gironi giudiziari che spesso non arrivano in tempi ragionevoli a sentenza>>.

Chiudere le fabbriche è l’unica strada percorribile ?

<< Chiudere le fabbriche è tipico di un sistema che non funziona. Negli altri Paesi quando c’è una curva pericolosa si interviene perché venga messa in sicurezza. In Italia o ci si limita a un cartello che annuncia il pericolo o si chiude la strada. Responsabilizzare le aziende con impianti in marcia, senza fermare cioè le produzioni, è la via migliore>>.

Ma non è quasi mai stato così, specie al Sud…

<< È vero. Penso a Bagnoli:  fu chiusa, impacchettata e spedita in Cina per la gran parte nel 1998 e con la chiusura si è lasciato un deserto di disoccupazione e degrado che nessuno può negare. Le bonifiche hanno riguardato solo un terzo dell’area e quelle più profonde stanno iniziando adesso>>.

Non è che i sindacati possono autoassolversi, però: se certi processi sono andati avanti anche voi non siete immuni da colpe.

<< Io parlo per i metalmeccanici e non per altri settori sindacali: certo, è evidente che anche noi in passato abbiamo fatto delle sottovalutazioni per la tutela dell’ambiente. Ma continuiamo a pensare che la via della ecosostenibilità passi per la responsabilizzazione, non per la chiusura delle aziende. La produzione industriale non è nemica in Italia dell’ambiente e le persone di buon senso non possono essere sempre schiacciate tra un industrialismo ottocentesco che ritiene che l’inquinamento un pezzo necessario per la produzione, e un ambientalismo isterico che considera le produzioni primarie come un evento criminoso, come si legge peraltro in un dispositivo giudiziario>>.

Ha ragione il presidente di Confindustria, Boccia, quando dice che in Italia c’è un clima, quasi una cultura anti-industria?

<< Ha ragione, Boccia. Il nostro è l’ottavo paese industriale del mondo ma con una fortissima cultura anti-industriale.  Basti pensare che per Ilva nell’affrontare la delicatissima partita della cessione si è ragionato non su un livello di emissioni adeguato ma sul tonnellaggio delle produzioni. È un modo troppo vecchio di affrontare la questione. È anche la conferma che la cultura anti-industriale esiste: ma si dimentica che senza un’industria forte e competitiva sull’export, il livello di disoccupazione di questo Paese sarebbe ancora più alto>>.

Restiamo al Sud: cosa vuol dire perdere o dismettere realtà industriali al di là del peso sempre decisivo sul piano occupazionale?

<<Quando l’industria arretra, avanza la criminalità organizzata. È vero che le aziende non devo produrre inquinamento ma ci sarà un’alternativa a passare dal piombo delle ciminiere a quello della malavita? Bisogna piuttosto preoccuparsi di piani industriali che nel Mezzogiorno attecchiscono poco: le incentivazioni previste da Industria 4.0, ad esempio, sono appena al 7% nel Sud. È questo vuol dire che il rischio di un ulteriore aumento della desertificazione industriale è fin troppo reale>>.

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