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QUANDO CARNITI MI DICEVA: “MAI RASSEGNARSI” – Il Sole 24 Ore, 07 giugno 2018

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QUANDO CARNITI MI DICEVA: “MAI RASSEGNARSI”

 

di Marco Bentivogli – Il Sole 24 Ore,  07 giugno 2018

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Ero piccolo, andavo alle elementari e vivevamo un momento di festa perché mio padre sarebbe rimasto a casa per qualche giorno come non era mai accaduto perché aveva una gamba ingessata. Alla fine di una bella giornata arrivò a trovarlo Pierre Carniti, gli andai incontro, lo ricordo curvo perché soffriva terribilmente per un mal di schiena; immancabile, acceso o spento, il suo toscano. Lo avevo visti in tv contestato pesantemente, a colpi di ombrello, davanti alla Fiat di Torino.

Mio padre era considerato il suo braccio destro nella strategia contrattuale di assalto di allora, nella Fim e nella Flm. Non sapevo quanto importanti fossero entrambi, mi sembravano, già da bambino, uomini coraggiosi prima di tutto. Fu la prima volta che incontrai Pierre Carniti; lo rincontrai grazie al mio impegno sindacale e la prima volta non fu facile perché era nella stagione dei primi accordi separati nella nostra categoria e lui insisteva sulla necessità dell’unità come precondizione per affermare una strategia. Ricordo che non accolse di buon grado quando gli ricordai che negli anni 80 proprio lui aveva spaccato quell’unità sulla scala mobile, subendo contestazioni, ma aveva vinto. Altri tempi. Dal 1968 al 1992, come ci ricorda sempre Giorgio Benvenuto, non ci fu mai uno sciopero di una sola sigla sindacale contro le altre e anche nell’84, Lama fece un’assemblea a Sesto san Giovanni con tutti i suoi delegati e la sera prima inviò la scaletta a Carniti e allo stesso Benvenuto. Come a dimostrare rispetto, sensibilità e attenzione tra compagni di strada.

Questi valori, nelle fasi successive, sono stati persi per strada in mezzo a deliri egemonici inversamente proporzionali alla cifra umana in troppi casi. Negli ultimi anni della sua vita, mi invitava, attraverso simpaticissime email a trascorrere del tempo con lui, chiedendomi la cortesia di raggiungerlo perché “costretto ai domiciliari per cause di forza maggiore”, era molto malato ma di una lucidità disarmante. Nell’ultimo periodo condivideva i suoi problemi di salute con la moglie Mirella a cui era legatissimo. A volte mi facevo accompagnare da qualche amico della Fim, nella sua casa sull’Appia, un po’ perché era lontano ma soprattutto perché mi piaceva condividere con altri amici i racconti e gli incoraggiamenti che non dimenticherò mai. Raffaele Morese prima dell’ultimo ricovero ricevette una telefonata da Pierre che gli chiedeva che lo raggiungessi appena ritornato dalla convalescenza.

Mi rammarico di non aver fatto in tempo a incontrarlo. Con lui, all’inizio le chiacchierate erano difficilissime, Pierre spiegava a lungo   che il sindacato stava sbagliando tutto e che bisognava cambiare radicalmente strategia con riferimenti a come avevano fatto loro nei tempi d’oro del sindacalismo e per evitare il declino che stava attraversando la rappresentanza. Quando riuscivo a bloccarlo, letteralmente, con un “tuttavia” che era sempre un modo per spiegargli la difficoltà e qualche miseria dell’oggi, epoca di grandi e lunghe attraversate nel deserto, con meno fascino delle montagne delle battaglie di dignità del lavoro dei suoi tempi, improvvisamente ascoltava. Raccontava il suo vissuto, la famiglia poverissima, la condivisione umana nonostante il totale dissenso politico con il funzionario della Fiom della sua prima zona sindacale a Milano. Gli incontri più recenti erano sui mutamenti del lavoro, del Paese del sindacato nella sua natura. Ultimamente mi sembrava preoccupato che mi rassegnassi, me lo diceva sempre quando mi abbracciava:” Guai rassegnarsi”.

Lo aveva colpito il discorso di Papa Francesco alla Cisl e mi raccontò del suo colloquio privato con Paolo VI. Mi ricordava:” non credere che il conformismi e il “tengo famiglia” non ci fossero alla mia epoca”. Mi raccontò che al Consiglio generale della Cisl organizzò un gruppo che votò contro il documento presentato dall’allora segretario generale Storti, quest’ultimo non si impensierì anche perché lo schieramento di Pierre raccolse solo sei voti, e Storti con benevolenza gli chiese se sentisse “assediato” e lui, con la sua proverbiale grinta, gli rispose: “Guarda che quello sotto assedio sei tu”. Altri tempi. In realtà proprio Storti insieme a Macario lo indicarono come suo successore, in una delle epoche più generative del sindacato, in cui le idee diverse non solo erano accolte ma stimolate e le battaglie politiche formavano i quadri sindacali migliori lontano dal conformismo. Dove il dissenso sui contenuti non intaccava i rapporti umani e non era mai vissuto come lesa maestà, dove la lealtà della postura sindacale era fatta dal pensare con la propria testa, dire quello che si pensa e fare quello che si dice. Con stile e coerenza, quella che portava Carniti a dire contro un brutto vizio di sindacalisti e politici di mantenere la propria influenza nella loro regione o territorio di provenienza:” Parroco che cambia diocesi, non torna neanche per confessare”. Dopo l’attività sindacale fu proposto da Marco Pannella come presidente della Rai a Craxi. Fece una dichiarazione programmatica sulla necessità di superare una struttura di vera e propria promozione clientelare, il che fece tramontare la sua nomina. Fu eletto parlamentare europeo.

Si dedicò al movimento dei cristiani sociali. Lo incontrai a diversi funerali di tanti amici che hanno fatto grande il sindacato, furono bellissime le sue parole di commiato per Domenico Papparella. L’ultimo regalo fu la postfazione che fece alla seconda edizione del mio libro, aggiunse: 2Se non la ritieni adatta, mandala comunque a tutti i fimmini”. Era ed è bellissima e fui onorato di ospitarla nel libro. Ci fece un regalo immenso partecipando all’ultimo giorno del Congresso della Cisl, poi lo incontrai ancora.

Quando gli confidavo le cose che ritenevo inaccettabili e allo stesso tempo impermeabili al mutamento, lui affermava sempre:” E quindi?”, come dire nessuna difficoltà varrà mai la tua rinuncia. Mi abbracciava e mi ripeteva:” Marco, mai rassegnarsi!”. Mi dispiace di aver finito il tempo che Pierre mi regalava, ma quello che ci lascia non è poco e spero di portare sempre con me lo spirito “di un’intera generazione a cui l’impegno sociale e politico è parso più bello del denaro, del successo privato, dell’entrata nel mondo del censo e del potere tradizionale”.