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Se i salari devono aumentare insieme alla produttività, c’è bisogno di più potere contrattuale

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A scriverlo è l’Economist, il mainstream del pensiero economico liberale

In Italia nessuno ha ripreso questo articolo. L’ho letto, per caso, in aereo da Parigi a Detroit, dopo aver ritrovato una copia della rivista abbandonata in aeroporto. L’articolo prende spunto da dati economici inconfutabili, della società americana. La stagnazione dei salari dal 1979 al 2016, anche in presenza di lunghi cicli di espansione economica. Il totale “disallineamento” tra crescita della produttività e andamento dei salari dal 1973 al 2016.

La stessa condizione potremmo riscontrarla in Italia e in Europa se analizzassimo gli stessi dati, a partire dal decennio successivo a quello considerato per gli Stati Uniti.

L’uso di mega-trend che misurano lo stesso dato per periodi cosi lunghi, consente di guardare la realtà senza le lenti deformanti della congiuntura economica e politica. E, in questo specifico caso, fa emergere due elementi che non trovano spiegazione nei modelli teorici più semplici usati dagli economisti. “[…] la produttività è quasi tutto ciò che conta. I lavoratori sono pagati esattamente e precisamente in base al loro contributo alla produzione di un’impresa […]”.

Il fatto che ci sia un legame oggettivo tra crescita retributiva e aumento della produttività [confermato anche da uno studio pubblicato l’anno scorso da Anna Stansbury e Lawrence Summers (1)], non è in grado di spiegare né le ragioni del “disallineamento” storico tra le due grandezze, tantomeno i motivi alla base della stagnazione salariale nei paesi ricchi. Esistono, indubbiamente, altri fattori che deprimono l’andamento dei salari. Secondo diversi economisti ed esperti di sindacalismo su scala globale questo fattore è l’asimmetria di potere tra capitale e lavoro. Per una migliore comprensione del perché esiste una stagnazione salariale in America, come in Europa bisogna affrontare non solo il binomio classico salari e produttività, ma la molteplice relazione tra salari, produttività e potere.

I grafici riportati qui di seguito dimostrano chiaramente che nei paesi industrializzati e, nello specifico delle due principali economie (Germania e Stati Uniti) la produttività è cresciuta molto di più dei salari reali e che la forbice tra i due indici si è andata progressivamente allargandosi.

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Come si può vedere dall’ultimo grafico riferito agli Stati Uniti, mentre dal 1948 al 1973 c’è un andamento quasi coincidente tra crescita della produttività per ora lavorata e crescita della retribuzione oraria, dal 1973 al 2016 il salario medio aumenta poco più del 12 per cento contro un aumento della produttività del 73,7 per cento. In pratica la produttività cresce di ben 6 volte il salario.

Significa che i datori di lavoro si sono appropriati della maggior parte del surplus generato dall’economia, creando un divario crescente tra il valore prodotto dai lavoratori e quanto sono pagati per questo. E tutto è stato condito dalla retorica sulla fine della lotta tra le classi.

La ragione per cui le aziende (capitale rappresentato dagli azionisti + manager) hanno avuto il sopravvento sui lavoratori è la questione del potere contrattuale. La contrattazione collettiva dei salari (come degli orari e condizioni di lavoro) è una negoziazione su come dividere il surplus generato. E con i processi di globalizzazione, accompagnati da pratiche di deregolamentazione dei mercati del lavoro e di limitazione dei diritti sindacali e contrattuali, è indubbio che – nei paesi ricchi e più industrializzati – ci sia stata una riduzione del grado di copertura contrattuale dei lavoratori e della densità sindacale (intesa come percentuale dei lavoratori sindacalizzati sul totale della forza lavoro).

C’è una buona ragione per pensare che questi squilibri di potere tra capitale e lavoro abbiano giocato (e continuino a giocare) un ruolo importante nella stagnazione dei salari nel mondo ricco. In un recente studio Suresh Naidu, Eric Posner e Glen Weyl (2) stimano che l’aumento del potere delle imprese (dovuto alla loro concentrazione sui mercati) finisca per ridurre di un quinto la quota del reddito nazionale che va al lavoro.

Per contrastare questo impoverimento complessivo dei lavoratori diversi economisti sostengono sia l’uso di politiche antitrust per rendere i mercati dei prodotti meno concentrati e più competitivi, sia l’aumento dei salari minimi.
Un approccio complementare sarebbe quello di aumentare il potere dei lavoratori. Storicamente, questo è avvenuto (e avviene tuttora nei paesi emergenti) in modo più efficace favorendo l’organizzazione dei lavoratori nei sindacati. In tutte le economie avanzate, diversi studi dimostrano che la disparità di reddito tende ad aumentare mentre la quota dei lavoratori iscritti ai sindacati diminuisce. Un recente paper che esamina i dati storici dettagliati di ciò negli Stati Uniti, sottolinea particolarmente bene il punto.

Henry Farber, Daniel Herbst, Ilyana Kuziemko e Naidu (3) evidenziano come negli anni ’50 e ’60 l’espansione dei sindacati ha portato notevoli vantaggi ai lavoratori meno qualificati, comprimendo la forbice salariale e riducendo le disuguaglianze. Quello che in Italia è avvenuto dalla fine degli anni’60 all’inizio degli ’80.

E nonostante siano ancora molti che sostengano che ci si debba liberare dai sindacati e dal loro potere “corporativo” (come dimostrano i crescenti attacchi in tutto il mondo alla libertà di associazione, al diritto di sciopero e alla contrattazione collettiva), lo studio dimostra che i potenti sindacati dei decenni del dopoguerra non hanno impedito alla produttività di crescere molto più rapidamente di quanto le economie avanzate abbiano saputo gestire da allora. Ed è stato durante questo periodo che la crescita del reddito reale ha seguito più da vicino la crescita della produttività del lavoro, come i modelli economici più semplici valutano opportuno.

L’articolo su Economist si conclude dicendo che lavoratori più forti e organizzati nei sindacati, indubbiamente, innervosirebbero i boss. “Ma un mondo in cui gli aumenti salariali siano inimmaginabili è molto più spaventoso”. Parola di liberali!

 

note:

(1) Anna Stansbury e Lawrence Summers, Productivity and Pay: is the link broken?, November 2017

(2) Suresh Naidu, Eric A. Posner & E. Glen Weyl, Antitrust Remedies for Labor Market Power, February 2018

(3) Henry Farber, Daniel Herbst, Ilyana Kuziemko, Suresh Naidu,                                                                                                Unions and Inequality Over the Twentieth Century: New Evidence from Survey Data, May 2018

 

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